Il dibattito è sempre acceso e accorato e, per certi versi, anche un tanto noioso, ridondante.
Negli ultimi giorni questo confronto si dice dentro calcoli post-elettorali: a destra, un bacino che decide e vota, a sinistra una popolazione (oziosa?) coi nasi nei calici, cercante, in bocca, posca, «spugna di Gesù».

(A fatica) Inseriamo anche queste tra le cose importanti da affrontare nella discussione contemporanea sul vino, almeno, su quello che noi frequentiamo e conosciamo.
Vorremmo si aggiungesse qualche altra nota, altre considerazioni. Al solito nostro, terra terra, da quella postazione che amiamo abitare cui unico (si fa per dire) merito è l’esser vicini (e partecipi) al mondo reale (e ai suoi di sentori), ne tiriamo fuori qualcuna. 

Legittimo, necessario, urgentissimo il dibattimento sulle implicazioni sensoriali di alcuni vini contemporanei, sul paradigma mutato, sul «non si torni più indietro», invitiamo però, ad accostare riflessioni anche d’altra sostanza.
Ci piacerebbe venissero sviscerate, (davvero) politicamente, le evoluzioni economiche, sociali, urbanistiche, ecologiche, e sì, anche, qualitative (senza generalizzazioni, ci mancherebbe) che il micro/macro mondo dei vini sta attraversando/determinando/subendo. Ci piacerebbe tornare a discutere di prezzo, distribuzione, rapporti di produzione. A che punto siamo? Si può chiedere?  

Non che noi si sia mai smesso di farlo ma vorremmo fosse dialogo più ampio, condiviso, perché l’impressione è che, politicamente, si stia dicendo meno di quel che si dovrebbe.  

Non possiamo fare finta che sia niente: i prezzi dei vini (convenzionali e non) stanno raggiungendo cifre spropositate, giustificabili in parte dagli aumenti dei costi di produzione, dalla strettoie burocratiche, dalle questioni climatiche ma imputabili anche ai nodi intrecciati della distribuzione che oltre tutto erode significativamente il rapporto diretto coi produttori (vogliamo parlare anche di esclusiva?). L’affermarsi di tendenze e modelli di gusto può lasciare il passo a una bella speculazione? Possiamo chiedercelo? Sì, dunque è urgente tornare a discutere di distribuzione e rapporti di produzione.

Il “settore” è in pieno sviluppo, è il regno dell’hype, le enoteche esigono rifornimenti: si raddoppia, si apre anche da un’altra parte; ai tavolini si reclama a voce alta: porta un altro puzzone, eh; per l’alta ristorazione urge la migliore produzione vinicola da abbinare a tutto il ben di Dio che si porta in tavola. Benissimo.
Benissimo. Ma non per tutti/e.
Intorno a questi luoghi (a queste economie, a queste politiche) si stanno ridisegnando interi quartieri, intere città. Milano, ci mancherebbe, è apripista, è sul pezzo anche a ‘sto giro

Che tutto questo sia anche una responsabilità da collettivizzare, che generi anche implicazioni importanti è per noi scontato. In primo luogo perché è inarrestabile. Se le mutazioni gentry hanno già trasformato quartieri e città, ora si apprestano a colonizzare nuovi ambiti: le “aree interne”, i bei borghi, le località amene.
Di fronte a questo panorama, ci sembra sia utile aver chiaro i ruoli, chi sono, gli attori, i fanti pionieri alla conquista del west. Chi sono? 

Mettiamo sul piatto questa materia perché abbiamo chiaro che la sfavillante giostra sta ampliando disuguaglianze, sta ampliando il solco tra chi è dentro e chi è fuori, chi ce la fa e chi no, chi se lo può permettere o meno. Soprattutto a Milano ma non solo lì.

Nel nostro minuscolo agire ci abbiamo provato, sin dall’inizio, pensando a La Terra Trema | Fiera Feroce e a L’Almanacco come strumenti alla portata di tutti. Pensando/credendo di alimentare – orizzontalmente – una cultura ampia e feconda. Un fare cultura che riguarda (necessariamente) insieme (l’accesso a) vini, cibi, politiche, militanza, pratiche (urbane e agricole). Di qualità, certo, se è necessario ribadirlo. 

L’impressione è che il cosiddetto mondo dei vini (naturali e non) rischi di ritrovarsi a dissertare sulla sua stessa piacevolezza, la sua ragion d’essere, le molteplici e inaspettate possibilità di un calice, in cattedrali glabre come giardini inglesi, terse, monoclonali. Città di niente.
È il caso, chiediamo, che ci si cominci a chiedere, dove sta la biodiversità nelle città, dove sono le differenze, dove vive la vita, al di là dei bei tavolini guarniti e lontanissimi dalle vigne?  

Marcovaldo, vuoi spiegarcelo tu? 

Last modified: 31 Ago 2023

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