È possibile ripensare l’apparato che muove il prodotto più iconico della gastronomia nazionale verso il mondo?
Che sia vino naturale, biologico, convenzionale, di sicuro c’è che la logistica che lo riguarda non è gratis

Di Andrea Bottalico
Illustrazione d
i Roberto C.

Piaccia o no, il vino rappresenta uno dei prodotti del Made in Italy più virtuosi nella bilancia commerciale. Secondo gli ultimi dati Istat l’industria vinicola ha toccato quota otto miliardi di euro, chiudendo con un record anche a causa dei prezzi dopati per limitare l’erosione dei margini. Nello scorso anno sono stati esportati più di 22 milioni di ettolitri di vino, in particolare negli Stati Uniti, che sono il primo mercato di riferimento anche per i piccoli vignaioli. 

Dal momento che l’Italia è il vigneto degli americani, abbiamo cercato di seguire l’itinerario di un carico di vino che parte dalla Toscana e arriva a New York. Abbiamo intervistato un operatore logistico specializzato nella spedizione di alcolici, capace di stoccare e trasportare dalla bottiglia singola al container di vino in tutte le destinazioni intorno al mondo attraverso tutti i modi di trasporto. 

Ci siamo rivolti a un tale operatore logistico perché non è stato possibile ricostruire la traiettoria del trasporto di vino chiedendolo a chi il vino lo produce. Questo perché i produttori e le produttrici in parte lo ignorano, dal momento che in genere vendono la loro merce ai clienti secondo il contratto di vendita “franco cantina”. In parole povere, il costo e il rischio del trasporto di vino sono totalmente a carico del compratore. 

Il primo passo quindi lo fa lui: il compratore. Chiunque esso sia, il compratore è colui che paga. Nel nostro caso il compratore americano è un ristoratore di Manhattan che si rivolge al suo distributore per scegliere e acquistare delle casse dal suo catalogo. Tendenzialmente è il distributore che quindi sceglie cosa importare dall’Italia, comprando un pallet intero, per esempio un carico di bottiglie di vino prodotto in Toscana. 

Il distributore si rivolge quindi agli uffici esteri dell’impresa di spedizioni. L’impresa di spedizioni contatterà il produttore di vino toscano per chiedergli informazioni dettagliate sulle quantità, sul numero di pedane (nel nostro caso una pedana), sul luogo di carico. Emergono subito vincoli di spazio e peso, poiché il carico viene trasportato in un container di trentatré metri cubi e possono entrarci ventitré pedane al massimo. 

Il contatto con la cantina è il momento in cui si viene a conoscenza delle tempistiche, a seconda delle quali viene organizzato il ritiro della merce e la prenotazione del container. Il secondo passo consiste nell’organizzare il ritiro della merce-vino. Il produttore potrebbe comunicare al distributore che venderà ogni bottiglia di quel vino a 10 euro, e che il carico richiesto è pronto nel suo piazzale a partire da questo o quel giorno. Di conseguenza, lo spedizioniere (che possiede magazzini ma non i mezzi di trasporto) si rivolge alla sua rete di autotrasportatori per il servizio di ritiro. Nel nostro caso, un autotrasportatore si recherà al piazzale della cantina toscana per conto dello spedizioniere che architetta il trasporto, dove caricherà il pallet di vino da esportare negli Stati Uniti. 

È chiaro che l’organizzazione della spedizione in questa fase può variare a seconda delle tipologie di carico. Detto con le parole dell’operatore logistico: 

Se dovessimo ritirare merce da dieci fornitori di vino diversi, ci vorrebbe più tempo rispetto al ritiro dal fornitore di vino singolo. Anche in termini di preparazione del carico c’è una bella differenza. Per preparare un container di vino da un singolo fornitore, io telefono e lui mi dice: sono pronto dopodomani. Poi telefono l’autotrasportatore e così via. Nel caso di un container carico di vini provenienti da dieci fornitori sparsi in tutto il territorio nazionale, la faccenda è più complicata perché bisogna organizzare tutti i ritiri.

Nel nostro caso, semplifichiamo. Il nostro lotto di merce viene preso dalla cantina toscana, caricato sul camion dall’autotrasportatore e portato in un magazzino di stoccaggio non lontano dal porto di Livorno. Per inciso: lo spedizioniere che architetta il trasporto “door to door” possiede tredici magazzini in giro per il Nord Italia, pari a 120 mila metri quadrati di superficie totale. 

Una volta scaricato dal camion e stoccato, il pallet di vino viene registrato in modo da essere tracciabile, poiché perdere una pedana di vino in un processo organizzativo così articolato non è inusuale. Il magazzino di Livorno è composto da sei magazzini e ha una superficie totale di 60000 metri quadrati. Per rendere l’idea: il salone in cui si svolge La Terra Trema ha una superficie di circa 1300 metri quadrati.

La scelta del magazzino di stoccaggio è in funzione della destinazione finale della merce-vino. Per l’esportazione intra-europea il carico in genere viene stoccato nei magazzini di Verona o Mantova, per poi entrare via gomma nel mercato europeo. Il mercato americano invece viene servito dal porto di Livorno. Il mercato giapponese da La Spezia. Alla base c’è un criterio di efficienza logistica: il vino viene stoccato nei magazzini più vicini ai punti di partenza per le destinazioni finali. Alla merce non è consentito fare un passo più del dovuto. Al contrario, il carico va stoccato il più vicino possibile al porto di uscita per risparmiare tempo e denaro.

Giunta in magazzino, sulla merce viene messa un’etichetta con informazioni essenziali quali il nome della cantina, la quantità, il numero di pedane, il tipo di vino, il lotto di produzione, il destinatario finale e la posizione nel magazzino. Il supporto delle tecnologie digitali in questo processo è importante ma non sostituisce affatto il lavoro umano. Una volta depositata la merce, la prima parte è completata. Da questo momento in poi inizia la preparazione dell’ordine che prevede il coinvolgimento della parte operativa di logistica: quella fatta di muscoli e cervello, oltre che di software.

Negli uffici interni al magazzino, una persona raccoglie gli ordini degli uffici esteri e tutte le informazioni indispensabili per il trasferimento della merce a destinazione. Dalla scrivania allora manda agli operatori di magazzino le informazioni che in gergo vengono chiamate “il piano di carico”. Nel nostro caso il piano di carico consiste in una pedana di vino prodotto in Toscana da trasportare a New York, presso un ristoratore che si trova a Manhattan, nella zona di Greenwich Village, tra Blecker Street e la parte ovest della Decima Strada. Questa pedana viene presa da un magazziniere e inserita all’interno di un container composto da altre pedane che equivalgono ad altri carichi per altri compratori. Il magazziniere ha a disposizione un sistema informatico e sa cosa deve entrare di preciso in quel container; quindi, gira per il magazzino cercando la merce da prendere e inserire al suo interno sulla base di ciò che il piano di carico gli indica. È importante che il container carico risulti bilanciato, perché in caso contrario si rischiano multe salate a destino. La bravura del magazziniere consiste nel fare le pedane di vino in modo tale da riempire tutta la superficie del container in modo equilibrato, senza sprecare spazio, valutando i limiti fisici del container e del tonnellaggio complessivo. 

La maggior parte del vino trasportato nel mercato americano viaggia in container refrigerati o sottoposti a isolamento termico. È fondamentale mantenere la temperatura del vino costante durante tutto il ciclo logistico.

Una volta caricato il container con le pedane di vino è necessario sdoganare la merce, e soltanto dopo questa procedura il container contenente il nostro carico può essere trasferito dal magazzino di stoccaggio al porto d’imbarco. Quindi arriva un camion guidato da un autotrasportatore conto terzi in magazzino, prende il container carico di merce-vino e si dirige verso il porto di Livorno, dove attraverserà il varco e lascerà il container in banchina. 

Il tempo di stoccaggio del container in banchina è importante, perché nel ciclo logistico del trasporto il tempo è un costo da ridurre in uno spazio da attraversare. Dopo l’11 settembre sono sorte norme di sicurezza che vincolano lo stazionamento dei container in porto tra i tre e i cinque giorni prima della partenza. Se il vino è dentro a un container normale, viene lasciato dagli operatori così come viene portato, e se fuori ci sono 50 gradi, dentro al container ce ne saranno 70. Il container refrigerato invece viene allacciato alle colonnine che ne garantiscono la temperatura stabile. Tutta l’operatività in questa fase spetta ai lavoratori portuali e in parte ai marittimi. Il container viene allora caricato e stivato a bordo, stavolta allacciato alla corrente di una nave battente bandiera liberiana, e pronto per partire verso la destinazione. Sebbene il tempo di transito in mare sia una variabile suscettibile alle decisioni armatoriali e ad altre circostanze, in media ci vogliono circa quindici giorni per raggiungere il porto di New York City. 

Una volta a destino, c’è tutta l’operazione inversa da svolgere. Il container refrigerato viene scaricato dalla nave dai portuali americani e allacciato alla colonnina della corrente in banchina. Poi un autotrasportatore lo prenderà per condurlo in un altro magazzino di stoccaggio nei pressi, dove la merce sarà tirata fuori dai facchini e smistata ai destinatari finali da altri corrieri (a seconda dei termini di spedizione previsti nei contratti di vendita). L’impresa di spedizione ha i suoi uffici esteri che si occupano dello sdoganamento della merce in ingresso e dei rapporti commerciali con diversi autotrasportatori capaci di fornire il servizio dell’ultimo miglio. Il carico di vino, quindi, arriva al ristoratore di Manhattan, che venderà ai suoi illustri clienti una bottiglia di quel carico (venduta dal produttore a 10 euro) a un prezzo pari a circa 100 dollari.

Questa è, a grandi linee, tutta la filiera logistica del trasporto di una pedana di vino, dalla ricezione dell’ordine alla consegna della merce. Abbiamo messo da parte il tema dell’e-commerce del vino, rimandando a un futuro approfondimento. Qui ci limitiamo a ricordare che, in generale, chi cerca su internet una bottiglia di vino da acquistare troverà qualcuno che architetterà la consegna in tempi rapidi e che la spedizione non è affatto gratis come sembrerebbe. Il vino come merce riflette il fenomeno della personalizzazione di massa dettato dalla coniugazione tra rivoluzione logistica e digitalizzazione, tra elaborazione di dati sempre più dettagliati sui comportamenti dei consumatori e risposta individualizzata, tempestiva, dei bisogni di consumo.  

Proviamo a elaborare qualche altro spunto di riflessione.

Abbiamo visto che il vino, per essere commercializzato, presuppone un processo organizzativo complesso che aderisce a pieno ai princìpi economici della globalizzazione capitalistica. La catena logistica del trasporto di vino è lunga (dalla Toscana a New York), non è solo condizionata da un mercato globale guidato dal distributore e dal compratore (il ristoratore di Manhattan), ma è anche ad altissima intensità di lavoro. Una manodopera internazionale è coinvolta nel processo di valorizzazione del ciclo logistico che porta il vino dalla cantina toscana al tavolo imbandito del ristorante americano. Il vino come merce deve essere trasportato, manipolato, stoccato e movimentato, e ci sarà qualcuno che garantirà questo flusso, con ritmi sempre maggiori, secondo precise logiche di sfruttamento e coercizione (a meno che questo qualcuno non decida di bloccare i flussi con uno sciopero). Una riflessione critica non può che elaborare una prima questione: in che misura, questo processo, è sostenibile in termini sociali?

A fronte di un settore dinamico e redditizio, troviamo condizioni di lavoro deplorevoli quando quel pallet di vino esce fuori dalla cantina. Nelle cabine dei camion troviamo i “padroncini” e i corrieri, gente stressata dalle pressioni commerciali, sottoposta a ritmi frenetici e al rischio di incidenti. Sono gli stessi autisti che fuori ai magazzini si ritrovano in conflitto d’interessi con i facchini in caso di sciopero

Nei magazzini, gli interinali durante i picchi stagionali corrono avanti e indietro con gli occhi sbarrati tra gli scaffali. Spesso lavoratori migranti sottoposti a forme di controllo invasive, inseriti nel mercato del lavoro tramite finte cooperative che evadono le tasse e aggirano le norme contrattuali pur di rimanere a galla in un regime di competizione senza esclusione di colpi. Sono i facchini della logistica protagonisti delle mobilitazioni, che sarebbero trattati come schiavi se non fosse stato per il sindacalismo di base, che in tutti questi anni ha provato a organizzarli, colmando un vuoto di rappresentanza lasciato dalla remissività complice dei sindacati confederali

Nelle banchine, invece, i portuali con la loro ernia al disco a trent’anni, con il loro lavoro usurante all’aperto, esposto alle intemperie, agli incidenti e ai ricatti delle multinazionali del mare che cercano in tutti i modi di sbarazzarsi di quei piantagrane con le stimmate da facinorosi (magari tramite l’automazione dei processi di carico e scarico). A bordo delle navi ci sono i marittimi bielorussi, vietnamiti, filippini, una forza lavoro senza diritti in balia delle bandiere di comodo che sanciscono l’assenza di qualsiasi tutela sulle portacontainer che attraversano gli oceani. 

Oltre all’alta intensità di lavoro, in questo processo troviamo parimenti un’alta intensità di capitale. A essere coinvolte sono multinazionali che fatturano miliardi di dollari: imprese di spedizioni internazionali, operatori logistici, agenzie marittime e assicurative, aziende di autotrasporto conto terzi, imprese terminalistiche. Tra le compagnie marittime troviamo i colossi ormai noti: la MSC di Gianluigi Aponte, la CMA CGM della famiglia Saadé, la danese Maersk. Tutte multinazionali del mare che controllano l’intera filiera logistica del trasporto, e che con la pandemia hanno ottenuto profitti talmente stratosferici che non sanno più dove investire. Si tratta di attori economici troppo grandi per fallire, capaci di condizionare politiche di sviluppo, di favorire progetti per nuove infrastrutture dall’impatto devastante sui territori, necessarie ad assecondare l’economia della velocità

Una riflessione critica non può che elaborare una seconda questione: in che misura, questo processo, è sostenibile in termini ambientali? Gli attori economici coinvolti nel processo logistico e distributivo rientrano a pieno titolo nella categoria di multinazionali energivore, in un settore composto da un management capace al massimo di elaborare retoriche intorno al green washing. Secondo alcuni dati, la catena logistica del trasporto merci produce in media il 70% di emissioni di CO2 della produzione industriale per unità di prodotto. In media. Per alcuni prodotti di consumo, la CO2 prodotta per la sola distribuzione è addirittura doppia rispetto a quella emessa per la produzione del bene. 

In un mercato caratterizzato da sovrapproduzione, è logico esportare il prodotto per garantire un processo sostenibile in termini formalmente economici. Ciononostante, produttori e produttrici di vino capaci di elaborare discorsi critici ed etici intorno alla dimensione del loro prodotto non possono trascurare gli effetti di un modello economico sostanzialmente insostenibile in termini sociali e ambientali. È opportuno interrogarsi apertamente sull’impatto di queste dinamiche, così come è lecito problematizzare le alternative alle modalità organizzative che abbiamo descritto. Oltre alle criticità legate a queste traiettorie di sviluppo, quali sono le impasse di un’economia di prossimità, fondata sulla filiera corta, sull’accorciamento delle distanze fisiche, sociali, culturali ed economiche tra mondo della produzione e mondo del consumo? Più che fornire risposte, a noi interessa porre le giuste domande intorno a cui, crediamo, vale la pena riflettere.


Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 32
20 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org

Last modified: 2 Mag 2024

One Response to " L’insostenibile logistica del vino "

  1. Marianna Melis ha detto:

    Ciao articolo molto intéressante, mi piacerebbe dialogare con voi, in quanto da 4 anni con altri compagni/e abbiamo creato una cooperativa di transporto Di merci a vela nel mediterraneo .
    Collaboriamo con vari vignaioli ( che conoscete tra l’altro Come sa defenza , deperu holler etc )
    Trasportiamo i loro vini per conto terzi o compriamo direttamente alla cantina .
    Aspiriamo a diventare un’alternativa Al transporto convezionale .
    Lascio il Mio contatto se magari ce qualcunoa Che può e ha voglia Di una chiaccherata per raccontarsi meglio.
    Grazie per l’attenzione.il progetto si chiama Bourlingue&Pacotille (abbiamo Facebook et Instagram e un sito internet )

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