LE TERRE DI TUTTI
Comunanze agrarie come fattore di rigenerazione sociale sul fronte del sisma
testo di Antonio Secondo 
illustrazioni di Giacomo Silva

Se c’è una cosa che da abruzzese ho imparato nel 2009 è che un terremoto, subito dopo un fenomeno geologico, è anzitutto un esperimento sociale.
La prima parola ad emergere dalle macerie di un sisma è sempre la stessa, indipendentemente da dove questo si verifica: ricostruzione.
Sventolata, abusata, gridata con rabbia in base a chi la pronuncia, ma ricorrente come un mantra nei discorsi, nelle dichiarazioni stampa, sugli striscioni appesi a ruderi sventrati, nelle commemorazioni.
Quando ci si addentra più in profondità, però, si scopre che il “com’era e dov’era”, spesso associato alle grandi progettualità istituzionali, è uno slogan rassicurante ma che non significa niente se all’idea di ricostruzione delle case non segue quella delle vite di chi le abitava. Un fattore che diviene evidente quando si comparano esperienze diverse generate da un epicentro comune.
È il caso del lavoro politico, culturale, aggregativo e sociale svolto dal comitato aquilano 3e32 e da moltissime altre realtà, cittadine e non, all’interno di pochi metri quadri nel parco di Collemaggio, culminate con l’occupazione del centro sociale CaseMatte. È il caso alienante delle new town del progetto C.A.S.E., i quartieri dormitorio tirati su in fretta e furia dal governo Berlusconi subito dopo il disastro, definiti nel docufilm “Appennino” dal regista Emiliano Dante “un evidente e ingombrante monumento alla camorra”. 

Scenografie perturbanti costate 700 milioni di euro, completamente slegate dal contesto cittadino, dove la socialità è demandata alla galassia di centri commerciali spuntati come funghi negli anni direttamente successivi al sisma. Il terremoto aquilano è stato il mio, vissuto quando ero studente nel capoluogo abruzzese, ma nonostante ne sia stato testimone non credo di essere ancora riuscito a comprenderlo davvero. Un sisma è un evento estremamente complesso, dove non si è mai troppo cauti nel parlare o abbastanza feriti per tacere. Della mia esperienza poco sono riuscito a dire negli anni, meno ancora a scrivere. Per questo, quando mi si è presentata l’occasione di misurarmi con un terremoto che non fosse il mio ho intravisto la possibilità di aggiungere un tassello al difficile tentativo di dare un senso ad un evento tanto straordinario. 
A fornirmi questo spunto è stato Marco Fars delle Brigate di Solidarietà Attiva, gruppo di volontari orbitanti nella galassia movimentista della sinistra extraparlamentare (semmai, di sinistra, ne esistesse anche un’altra in questo paese) impegnato in azioni di sostegno e auto-organizzazione di popolazioni residenti in luoghi afflitti da catastrofi naturali, sociali, economiche. 
È lui ad invitarci per la prima volta ad Arquata del Tronto dove, dopo un primo anno di aiuto materiale alla popolazione nella fase direttamente successiva al sisma ad opera di circa ottocento volontari, le Brigate hanno collaborato con la popolazione ancora residente alla promozione di molteplici esperienze divenute veri e propri laboratori di autogestione. Esempio virtuoso, quello delle comunanze agrarie di Forca e Abetito di Montegallo, la cui idea è stata individuare “un altro modo di possedere”, antica quanto attuale pratica per il rilancio del territorio promossa dalle elaborazioni di Olimpia Gobbi e Augusto Ciuffetti, il cui contributo è stato fondamentale alla realizzazione del progetto. Una concezione alternativa della proprietà, all’interno della quale beni pubblici come immobili, terreni, boschi e risorse idriche appartengono alla collettività e sono destinati a garantire «una equa e giusta sopravvivenza o equilibrio vitale a coloro che vivono nel territorio» (Olimpia Gobbi). 

Il lavoro di riorganizzazione delle due comunanze ha portato al recupero di castagneti presenti nella zona, la cui produzione è da sempre considerata autoctona del territorio del Ceresa, ma mai opportunamente valorizzata. L’interesse dei comunardi nella riscoperta della castagna locale, commercializzata attraverso canali alternativi a quelli della grande distribuzione, ha contribuito a deviare l’attenzione della politica locale sulla possibilità di attivare fondi a sostegno della filiera, creando altresì una valida alternativa all’ingresso di grandi multinazionali come la Ferrero/Nestlè interessate ad importare nelle aree terremotate pericolose monocolture alloctone, come accaduto altrove con la nocciola, col pretesto della rinascita del cosiddetto “cratere”. L’esperienza delle comunanze agrarie del Ceresa è raccolta nel documentario dal titolo “Le terre di tutti”, scritto e diretto da Ferdinando Amato e Marilin Mantineo. Un progetto delle Brigate di Solidarietà Attiva in collaborazione con il collettivo Emidio di Treviri, la cui storia necessiterebbe di altre pagine per essere raccontata a dovere. Sinergie dal basso, come quella tra le Brigate e la popolazione della zona, hanno di fatto contribuito ad attivare progettualità collaterali incentrate sulla rigenerazione delle comunità, sulla micro-imprenditoria, sulla valorizzazione del patrimonio locale e sul presidio del territorio. 

Dalla nascita della cooperativa di comunità del Ceresa (operante nei comuni di Roccafluvione, Montegallo, Acquasanta Terme e Arquata del Tronto), al recupero della rete sentieristica in collaborazione con la locale sezione del CAI, all’apertura di campi estivi per i bambini ospitati in soluzioni abitative emergenziali (SAE), alle attività di manutenzione dei paesi e alla riorganizzazione del carnevale tradizionale di Acquasanta Terme, fino a molteplici altre iniziative di carattere aggregativo, culturale e, finanche, religioso. Un sistema all’interno del quale la montagna torna ad assumere una sua dimensione, in grado di sottrarre terreno a forme di mercificazione che, in questi luoghi più di altri, sopraggiungono a seguito di criticità spesso già presenti prima del sisma, ma che il terremoto inasprisce irrimediabilmente (dispersione sociale, svalutazione del patrimonio pubblico e privato, progettualità in deroga). Un modello per quanti siano alla ricerca di un indirizzo nel lungo e tortuoso percorso della rigenerazione delle comunità appenniniche, senza necessariamente attendere l’intervento della terra per dare una scossa ai fenomeni di mutualità sociale, cooperazione, riappropriazione e difesa dei territori. 

Ma l’orografia stessa delle montagne che abitiamo impone confini materiali alle esperienze dei singoli territori, che in questo modo vivono eventi come un sisma in maniere differenti. Basta osservare cosa accade nei pochi chilometri che separano i due versanti del monte Vettore, dove la turistificazione mordi e fuggi della piana di Castelluccio di Norcia nel periodo di fioritura della lenticchia stride con l’apparente desolazione della valle di Arquata, dove invece prolificano utopie possibili. 
O, ancora, la spettacolarizzazione della tragedia aquilana divenuta, attraverso l’operato di Berlusconi e Bertolaso, un terremoto mediatico, militarizzato e strumentalizzato per fini elettorali. Differente, invece, il caso degli eventi sismici negli anni successivi, la cui ricostruzione, secondo i dati raccolti dalle stesse Brigate di Solidarietà, a ormai quattro anni dalla prima forte scossa, non supera il 7% di una stima complessiva pesantemente sotto la media rispetto ai reali danni riportati. Una lungaggine che lo stesso commissario straordinario per la ricostruzione Giovanni Legnini, nominato dal governo Conte nel febbraio scorso, ha definito «caratterizzata da una lentezza non più sostenibile». Al netto di ogni esperienza, appare chiaro come l’unica imparziale lezione di quel profondo respiro della terra che è un terremoto risieda nell’acquisizione di consapevolezze differenti in relazione alle dinamiche che lo caratterizzano. Consapevolezze non ancora collettivizzate nei diversi fronti del sisma che attendono di essere esplorate, sviluppate e capitalizzate per l’attuazione di nuove pratiche, capaci di riscrivere la storia delle comunità che vi abitano.  

da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 19
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori

Last modified: 7 Feb 2021

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