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MADRE MATERNO

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Madre Materno
di Guido Celli

Il tempo che si ripete all’infinito nelle pupille del bambino non ha confini. Il bambino ci sta dentro come una conchiglia, come una perla, e aspetta. Il prossimo tuono, il prossimo ruggito, la prossima condanna. Il bambino guarda da dentro la sua conchiglia, vede le urla, vede le botte, vede la casa spaccata, il tempo rotto, la madre rotta. E quando non c’è più un vetro contro cui frangersi, è sulla perla che rivolge il suo dolore.
Prima con “Era solo un ragazzo” e oggi con “Madre Materno” Guido Celli si è sbarazzato della sua epica personale. L’ha resa poesia.

Dalla postfazione di Caterpillar per l’edizione appena pubblicata da Sensibili alle Foglie.


A mia madre: origine del tempo.

X
Mi chiedo, Madre, cosa io abbia mai fatto
per darti amore, per farti sentire il mio amore
se non semplicemente esistendo
se non specchiando in me il tuo amore
se non accogliendo in me il tuo amore.

Mi chiedo, Madre, se il mio amore per te
sia stato almeno la metà del tuo per me
e se io almeno un poco di quello mio
sia riuscito a fartelo sentire
se sia stato il mio amore capace di farsi capire.

Mi chiedo, Madre, cosa io abbia mai fatto
per meritare il tuo amore
se non semplicemente esistendo
se non come generato figlio
se non come obbligato amaro amato destino
di figlio della madre che ama il suo bambino.

XII
Cosa cerco, cosa Madre, di te nel mio amore
quale cosa di te nell’amore che sento di amare
quale segno o idea di te mischiato all’amore
nasce e si nutre nella voglia che ho di amore
spezza e distrugge ogni bisogno che ho di amare?

Cosa cerco di te, cosa Madre, dal mio amore
quanto e come io ho di te amore del mio amare
cosa delle cose di te e quali io cerco di trovare?
Dove sei nell’amare che ho io l’amore
cosa sei in ciò che distruggo quando amo l’amore?

XV
Potessi restituire, Madre, anche solo
un grammo del tuo chilometro
un centimetro del tuo quintale
un brano del tuo enorme amore
una scheggia della tua croce
potessi, Madre, potessi
lo farei anche a costo di cavarmeli
dal corpo, dal sangue e dalla voce
a costo anche di restituire
la vita avuta dalla tua doglia atroce.

Perché non può esserci vita felice
in chi a chi l’ha nato nuoce.

XIX
Nulla di nuovo al Mondo, Madre
l’amore che ho mio per te
così cannibale e figlio
del Mondo da quando il Mondo
è femmina di ventri che figliano
la madre che da altre madri è nata
come femmina a sua volta figliata.

Nulla di nuovo, Madre, alla Natura
l’amore che hai tuo per me
così puro e figlio
della Natura da quando la Natura
abita il Mondo da cui è abitata
ed è femmina come è femmina la vita
che germina la vita da cui è germinata.


XX
Sapessi Madre quante volte ti ho tradita
quante volte venduta, quante volte schifata
quante volte Madre ho avuto vergogna
di essere figlio di una madre povera e massacrata.

Sapessi Madre quante volte per questo t’ho amata
e sapessi, Madre mia, quanto di te c’è in filo
nel gomitolo d’amore che è la mia vita umiliata.

XXVII
Cosa di me non è te, Madre
se io amo nel modo tuo di amare
se io sento nel modo tuo di dare
se io solo da te ho ricevuto amore
e solo a te non ne ho dato?
Cosa sono, nel mio essere me
cosa sono nel tuo avermi amato
cosa sento di dare nel sentire
l’amore che devo dare
anche quando non mi è dato?

XXX
Io vorrei, Madre, scivolare indietro nel tempo
e abbracciarti ogni quando hai pianto
perché non capivi come mai dando tutto
indietro ti tornava una sofferenza
che ti faceva sempre più innamorare.

Ma io vorrei anche tornare
Madre, al preciso momento
in cui per questo ti ho adorata e sposata
in cui il mio futuro si è incardinato
verso questo squilibrio, per odiarti
fino al budello del cuore e disimpararti.

Quanto amore c’è, Madre, nel mio disprezzarti
quanto amore c’è nel mio adorarti
nel mio essere ciò che amo
nel mio odiare ciò che c’è nel mio assomigliarti.

XXXII
Sopravviverti, Madre, sarà atroce
perché perdendoti perderò
l’amore da te imparato
accettato e messo in voce
del mio misero dire amore.

Restarmi in vita, Madre, sarà atroce
perché perdendoti perderò
l’amore che hai amato nella maniera
che ho imparato e messo sulla croce
del mio orrendo amare amore.

XXXIII
Vederti, Madre, come i miei occhi ti han vista
è stato avere una contrazione di luce
al muscolo di buio annodato alla gola
che dal primo giorno fino all’ultimo
non ha potuto l’unica vera parola
che ti e mi avrei dovuto dire
e che ora, Madre, scrivo: salvezza.
Eccola, Madre, in poco fiato, nella sua
insensata ed inutile bellezza.

Se la prima metà del poema è un file digitale lo devo a Claudia D’Oriano.
G. C.


da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 16
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori

Last modified: 25 Mag 2020

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