La memoria del cibo dà forma al ritratto personale di ognuno.
Nel giro di alcuni anni Giorgia Brianzoli e Marzia Mirabella hanno chiesto ad amici e parenti un racconto in cui il cibo fosse protagonista assieme alle persone che lo preparavano, ai luoghi in cui lo si cucinava e consumava.
Oggi “Attorno a una ricetta” raccoglie un centinaio di contributi speciali, diversissimi uno dall’altro per forma e contenuti, ognuno prezioso e personale.

Testi a cura di Giorgia Brianzoli e Marzia Mirabella
Illustrazioni di Andrea Rossi

CREPES AGLI SPINACI 
LA RICETTA DELLA NONNA
Tommaso Spazzali, Informatico, 53 anni

Nonna Lidia aveva ottantasei anni quando suo figlio morì. Lui ne aveva cinquantotto, gli ultimi dodici li aveva passati in esilio, gli ultimi dieci in clandestinità. Nata nel 1908 a Trieste, aveva vissuto due guerre in quella terra di frontiera che va da Monfalcone a Muggia. Espatriata temporaneamente in Austria durante la prima guerra era poi dovuta scappare da Trieste e riparare a Milano alla fine della seconda a causa, probabilmente, di qualcuna delle bizzarrie del suo vorticoso marito Romeo. Una bizzarria grossa doveva essere stata. Il nonno non rimise più piede nella città natale, e anche la nonna ci si recava a fatica. Magra, anche troppo, iper tiroidea, “durante la guerra avevo due tessere alimentari“, e “resicata gastrica“, ossia operata di un’ulcera che a suo dire non aveva avuto. Sempre in movimento, la nonna cucinava volentieri. Una cucina semplice ma mai distratta. Memorabili la sua jota (una minestra triestina di fagioli e crauti) e il goulash, riservati alle grandi occasioni. Ma il piatto che più faceva la mia gioia, quelle volte che andavo a trovarla, erano le omelettes o crepes che dir si voglia. L’esilio di Sergio non era stato una passeggiata, la clandestinità era stata un’opportunità. A casa nostra ciascuno pagava personalmente le sue scelte e non usava lamentarsi. Così la nonna, come tutti noi peraltro, aveva seguito pazientemente le tracce del figlio ribelle in giro per l’Europa, usando mezzi talvolta di fortuna e dei ricoveri non sempre ortodossi. Si avvicinava il tempo per girare pagina. L’inesorabile macchina della giustizia aveva finalmente sancito la prescrizione della pena e l’esilio poteva dirsi finito. Sergio aveva anche un po’ questionato con i suoi compagni, ma questo ancora non lo sapevamo, e anche la latitanza sembrava non aver più ragion d’essere. Stanco, provato e indiscutibilmente spaventato dalla prospettiva aveva sinceramente considerato l’ipotesi di tornare a Milano. Quando morì lo aspettavamo a casa a giorni.  Ci sono dei luoghi del ricordo che sanno contenere più di quanto valgono e la nonna, con la sua prosa omerica, accompagnava sempre le sue crepes con la storia della guerra. La sua guerra, la prima. “Eravamo sei figli“. Sei figli, non sei fratelli, il primo pensiero a sua madre, Gabriella, e all’arte di cavarsela in decenza con pochi mezzi.

Metteva a tavola otto persone con quasi niente

Metteva a tavola otto persone con quasi niente”, e via con la storia di come si rubava un pezzo di pane o di prosciutto dal piatto del fratello più grande per poi restituirlo sotto gli occhi attenti ma non severi della mamma. I figli si ridussero poi a cinque (Lidia, Wally, Nella, Oscar, Giorgio) dopo la morte del giovane Paolino, che lasciò una traccia discreta ma non cancellabile. Quante volte ho sentito quella storia, non lo so dire. Ricordo invece ancora il profumo e il sapore delle omelettes. Piselli e pancetta, spinaci e grana oppure una sventagliata di zucchero e un’abbondante dose di burro fuso colata all’ultimo. Un piatto veloce, da decidersi al momento, per fare di un pasto comune una piccola festa del palato. Perdere un figlio è tra i dolori più grandi, un evento contronatura. Lidia, che ne aveva pur viste parecchie, sembrò non reggere. La notizia arrivò come un colpo di scure sul tempo: il vizio e la vita si erano mangiati il fegato del maggiore, proprio quando stava per tornare a casa. C’è chi ha sussurrato che l’imminente esito non fosse del tutto correlato dalla tragica fine ma su questa strada non è lecito proseguire oltre. Il 22 gennaio 1994 Sergio morì di cirrosi, che si tramutò poi in infarto, per colpa di uno sciocco pudore, e la nonna smise di parlare e di mangiare. Magra, forse troppo, vecchietta, sempre più, in continuo movimento, spense la sua luce e si fece fantasma. Furono giorni difficili. Sergio, scomparendo, aveva lasciato un vuoto ingombrante. La nonna-fantasma continuava a muoversi senza parlare né mangiare mentre noi iniziammo seriamente a preoccuparci. Vicinanza, cura e affetto dei parenti e degli amici più stretti non sembravano scalfire il cuore addolorato che si era fatto di sasso. Fu dal caso o da una inconsapevole intuizione, che venne il gesto di chiedere alla nonna la ricetta di quel piatto. “Dai, nòniza, insegnaci a fare le crepes come le fai tu“. Ci guardò con degli occhi profondi e fece un leggerissimo sorriso. Fu come aver girato una chiave, una delle chiavi della sua guarigione, se mai nella vita si può guarire. Si vede che, col tempo, la vicinanza, la cura e gli affetti avevano scaldato il sasso perché potesse tornare a essere cuore. Chissà se pensò a sua mamma Gabriella e al di lei figlio Paolino, morto giovane. Chissà se ricordò  quella tavola povera ma chiassosa, chissà se decise semplicemente, con la consueta discrezione, di mandarci tutti a quel paese, noi che non riuscivamo a capire. Si alzò, andò in cucina e diede inizio alle operazioni. La lezione fu breve, la cena modesta ma serena. La lasciammo sicuri che, ancora una volta, ce l’aveva fatta. Vi lascio la ricetta, come l’ho segnata. 

CREPES
Per ogni crepe 1 cucchiaio di farina [8 cucchiai]
1 uovo (x 4 persone)
latte
sale (poco)
acqua minerale 2/3 cucchiai
cucinare nell’olio e non nel burro

Lo scialatiello di mare!

MI PIACE CUCINARE
Pietro Marcello, filmmaker, 43 anni

Sì, mi piace cucinare, per me e per gli altri. Ho sempre amato cucinare, e forse, ho più talento nella cucina che a fare film. La mia cucina non è mai stata quotidiana, e non ho mai amato la sbobba o cibi senza sapori. Ho imparato a cucinare osservando i miei, mia madre, mio padre… erano entrambi molto bravi, ma questo ha creato in me un limite, un vizio, il mio palato viziato da sapori forti, gustosi e salati. Ho cucinato sempre di tutto, forse solo i dolci non sono mai riuscito a fare ma spero un giorno di imparare. É difficile immaginare un piatto di pasta, quale piatto di pasta, quale specialità? Ma si… preparare la pasta. Certamente avere tutto a disposizione ti accompagna in una cucina più comoda ma forse cosa dovrebbe affascinare più di tutto? L’imprevedibile della cucina… inventare… la cucina irriproducibile!

Mi limiterò a descrivere le ultime cose che ho prodotto in cucina, piatti ricchi e poveri. Il piatto povero, è la pasta al limone, quello invece ricco e lo scialatiello di pesce. Amo preparare le conserve, fare il pane e le torte salate, ma la cucina è qualcosa di quotidiano e non occasionale. La cucina napoletana è ricca, gustosa e unica come la pasta e patate, rigorosamente arricchita con la provola affumicata, la genovese e il ragù domenicale, la parmigiana di melanzane e tante specialità di tradizione campana.

La pasta con il limone è un piatto povero e veloce da cucinare…
Allora… Come fare: la pasta da scegliere è relativa, a ciascuno la scelta.
Spaghetti: vanno bene!
Sedani rigati: anche quelli!
La mia pasta a limone è ricca e saporita. Un bel tagliere non guasta mai per non sporcare troppo…

Allora: spaccare come rituale una testa d’aglio con il palmo della mano, tre spicchi grossi, questo a piacimento per chi ama l’aglio! Olive di Gaeta, aitane o le frizzantine saporite ma rare da trovare – io le compro nei mercati locali casertani, due tre chili alla volta per avere ottime riserve. Le olive devono essere snocciolate, poi capperi, quelli piccoli però da desalare, la quantità chiaramente a piacimento. Nel frattempo l’acqua per la pasta è sul fuoco. Una bella padella antiaderente con olio sano per il soffritto. Il limone per me è un agrume sano che metto ovunque nel cibo, per profumarlo e saporire le pietanze.

Facciamo soffriggere l’olio a fiamma bassissima, aggiungiamo l’aglio senza bruciarlo, quando il soffritto e pronto aggiungiamo le olive e i capperi desalati, aggiungiamo un po’ d’acqua nella padella, poca poca così da creare un sughetto rosato – le olive sprigionano il colore, a quel punto, la base è pronta. Cosa fare ora: aspettare che l’acqua bolle! Scegliere la pasta: spaghettino? Ma si… trafilato al bonzo, un bella pasta di Gragnano. Cottura al dente. Nel frattempo ho grattugiato la scorza di limone. Quando la pasta è pronta lanciarla in padella… a quel punto saltarla in padella, con la scorza di limone, e spremendo il limone sulla pasta. Di sale non c’è bisogno, bastano i capperi e le olive per saporire il tutto, aggiungere mentuccia fresca e un po’ di prezzemolo e la pasta è pronta. Per preparare il tutto bastano quindici minuti, è una pasta povera e semplice da farsi ma tutto dipenderà dai prodotti, le olive in barattolo industriale sono indigeste come i limoni spagnoli da supermercato, senza profumo e incerati come anime finte, ci vogliono I limoni buoni, quelli locali… per il resto ognuno può inventare e ricreare nuovi piatti all’occorrenza!

Ma passiamo a un piatto ricco e più sofisticato: Lo scialatiello di mare!

Innanzitutto avere il tempo per prepararlo, forse è un piatto domenicale che merita tempo, attenzione e dedizione.
Allora: innanzitutto preparare l’impasto.
Farina di semola, non vado per grammi ma per sostanza.
Per cinque persone?
Non ho mai utilizzato nessun genere di bilancino per cucinare!

400 grammi di farina di semola
Per il resto regolatevi voi a piacere:
Pecorino romano 
Parmigiano reggiano grattugiato 
Prezzemolo e mentuccia tritata
Scorza di limone
Un po’ di vino bianco
Un po’ di latte
Un uovo che fa da collante per il tutto, si possono usare anche più uova ma poi il tutto diventa un po’ pesante, allora ognuno può preparare l’impasto a suo piacimento

Preparare impasto, lavorare con le mani e con i pugni la pasta. Farla riposare per poi stenderla su di un piano e con un mattarello stenderla bene bene per renderla sottile. Con un coltello tagliarla a strisce e lavorala a mano con un po’ di farina accanto per dare la forma allo scialatiello. Ognuno può creare forme come vuole, è importante di non creare forme troppo grosse o voluminose perché poi la pasta cuoce male. Nel frattempo decidere come preparare il condimento. Di pesce o piatto invernale?
A me piace di pesce… tutto dipende da cosa troviamo in pescheria.

Vongole, cozze, telline, gamberi, un po’ di tonno a pezzettini, ma anche con il pesce spada, si può anche fare tutto misto come se fosse una sorta di bouillabaisse alla napoletana. Io normalmente non uso i pomodori ma c’è chi lo aggiunge per colorare e rosare il tutto.

Il soffritto con l’aglio è rituale, io aggiungo un po’ di vino bianco e le olive aitane che non guastano mai, chiaramente snocciolate a mano. Il segreto di questo scialatiello a mano è l’amido sprigionato dalla cottura, una sorta di gelatina che diventa cremosa lanciata in padella tra i frutti di mare e il resto. Tutto va saltato in padella con abbondante prezzemolo e un po’ di mentuccia…

Lo scialatiello funziona anche con i funghi, più invernale ma non meno saporito!

ATTORNO A UNA RICETTA

IL LIBRO
A cura di Giorgia Brianzoli e Marzia Mirabella
ATTORNO A UNA RICETTA
ricetta, racconto, ricordo
attornoaunaricetta@gmail.com


da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 14
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori

Last modified: 20 Feb 2021

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.