Una via stretta, due libri snelli e la gastrofinanziarizzazione della città

Di Wolf Bukowski
Illustrazione e foto di Foodification

Nella piccola città dove tutto è quasi perfetto, plastico in scala ridotta del viscido modello emiliano, alcune cose cambiano. La vita vi si fa ancor più emiliana, più arricchita, più city life. Quando imbocco per improvvisa deliberazione la stretta via, attraversata per l’ultima volta più d’un paio d’anni fa, la riconosco proprio per il suo sembrare diversa, come quando incontri chi ha cambiato taglio di capelli, ma non in modo troppo vistoso, e indossa occhiali neri, stilosi, ma senza farteli pesare. È un’altra persona, e pure è la stessa: come volerle male?

La strada è rimasta dov’era già prima, cioè a pochi passi dalla piazza, ch’è decoroso gioiello cittadino militarmente sorvegliato affinché nessun culo sacrilego si posi su monumenti eretti un dì a presidio del cattolicesimo, oggi arruolati nel patrimonio Unesco e nelle schiere di San Turismo. Poco lontano si trova il nostro stradello. Appena lo imbocco, dicevo, individuo un ristorante che si è fatto largo nei social o nel tam tam della messaggistica, poi un esercizio commerciale cool (magliette o tatuaggi o dischi in vinile, non ricordo, son cose che si equivalgono); più avanti il negozio d’abiti artigianali che già c’era, ma affiancato da una galleria d’arte. Ancora pochi passi e c’è il bar, presso il quale cade ogni incertezza. È un bar con la barba curata, con gli arredi in metallo e poster ironici/iconici alle pareti. E lì capisco che è fatta; il tracollo è solo questione di tempo. Pochi passi dopo raggiungo la mia meta, il posto-semplice-dove-mangiare ch’è rimasto incredibilmente uguale a sé stesso; consumo il mio pasto con il disagio di chi ha ricevuto la profezia di una fine, ma non può far nulla per sventarla. Per il posto-semplice-dove-mangiare il tempo è scaduto, e gli si aprono dinanzi due strade: l’esilio in periferia, se non saprà stare al passo della trasformazione urbana, oppure l’esilio da sé stesso, cioè dalla sua propria semplicità, se deciderà di parteciparvi, indebitandosi. Mi guardo intorno, e leggo avvisi di scadenza sulla nuca di uomini e donne di ceto popolare che entrano nei portoni e con le borse della spesa si arrampicano fino agli appartamenti in affitto. Anche i loro padroni di casa soffrono, a modo loro, svegliandosi ogni mattina con le lenzuola intrise da sogni di orge turistiche e ammucchiate Unesco. Solo il bromuro o la gentrificazione li possono salvare dal prosciugamento di ogni energia.  

Nel paese appenninico, emiliano anch’esso ma abissalmente meno ricco della piccola città, nel corso di un paio di decenni sono calate le serrande degli esercizi commerciali. Soli superstiti la panetteria e l’alimentari. Il primo si è completamente rinnovato, e coerentemente ha assunto il nome di Vecchio Forno. Anche l’alimentari, dopo rapidi lavori, ha cambiato pelle e ora si chiama Food Experience. Non so cosa venda, perché non oso entrarvi; un giorno forse mi travestirò da turista e farò la mia esperienza. Intanto sul territorio compaiono qui e là, nei luoghi più incongrui, biciclette degradate a fioriere o appese sul muro a un paio di metri d’altezza, come andava di moda lustri fa nelle metropoli. 

Negli anni passati abbiamo studiato, redatto testi feroci e organizzato incontri, dibattiti, manifestazioni; sono state tracciate sui muri scritte argute e battagliere, ogni arma tra quelle spuntate che avevamo a disposizione è stata impiegata contro tutto questo, ma è stato vano. Non c’è stata antitesi all’assalto del capitale al territorio; le sue parole d’ordine, le sue stupide mode, i suoi hype autolesionistici si sono diffusi come il petrolio che scivola sul mare senza incontrare ostacoli. «Da una causa determinata deriva per necessità un effetto […]. La conoscenza dell’effetto dipende dalla conoscenza della causa e la implica» (Etica I, assiomi 3-4). E cioè: dal dispiegarsi del capitalismo finanziario deriva per necessità la sua propria manifestazione urbana, derivano gentrification, foodification, turistificazione. Senza scampo. Spinoza dunque, non Hegel; il determinismo, non il conflitto, guida lo sviluppo delle nostre città. Non abbiamo perso una battaglia; è piuttosto come se essa non avesse mai avuto luogo. Quelle che scambiavamo per battaglie erano solo vecchie abitudini destinate a scomparire.


Sono usciti di recente due libri snelli che scelgono il registro di un’amara ironia nel raccontare la trasformazione urbana. Non è detto che ciò rispecchi considerazioni disperate quanto le mie, ma come minimo vi intravedo il riconoscimento della situazione di scacco in cui ci troviamo. Il duo di Foodification (Paolo “Tex” Tessarin e Marco Perucca) si è consolidato attorno a uno spettacolo teatrale, per poi arrivare al libro omonimo ora pubblicato da Eris. Sulla scena c’era l’agnizione di due personaggi, che inizialmente credevano (o fingevano di credere, che è lo stesso) di essere tra chi avrebbe approfittato della mutazione gastrofinanziaria della città, per poi scoprire, nello sguardo reciproco, di esserne semplici pedine, ottenebrati dai propri sogni, dalla loro stessa alienazione e falsa coscienza, potremmo dire con parole antiche. Il libro è invece una miniatura di quartiere, in cui i vincitori sono lontani, inafferrabili e irresponsabili, mentre gli sconfitti sono dappertutto, anche se spesso continuano a essere catturati dai propri sogni. Manuel, coscienza lucida della falsa coscienza altrui, li osserva nei loro tratti puerili. Chiusa l’azienda chimica presso cui lavorava, torna a più di trent’anni a vivere a casa dei genitori, ai quali rinuncia a spiegare perché quel quartiere diventato così bello e decoroso sia in realtà un incubo economico e sociale. Si impiega come cameriere precario e rifila ai food blogger che si attardano nel locale robaccia scadente che fa passare per vodka brasiliana artigianale. E se tra le vie gli pare di cogliere qualche segnale di «resistenza» urbana, subito realizza che si tratta solo di una «vecchia abitudine destinata a scomparire». Il determinismo, non il conflitto, spiega lo sviluppo della sua città.


Bdsg. Breve manuale per una gentrificazione carina (Einaudi, 2022) è il titolo del volumetto (digitale) di Giovanni Semi, già autore dell’irrinunciabile Gentrification. Tutte le città come Disneyland? (Il Mulino, 2015: un’eventuale edizione aggiornata potrebbe benissimo fare a meno del punto interrogativo). Quello che opera Semi è un rovesciamento; è una mimesi sarcastica, una dolorosa presa d’atto. Le vuote ciance che hanno lubrificato e imbellettato le trasformazioni urbane sono state fatte a pezzi più volte. A volte con gusto, come è capitato di fare anche a me nei confronti delle trovate “controculturali” di uno studentato per ricchi. Ma non è servito a niente: col suo solito determinismo la patina soffocante ha ricoperto quartieri e città. Semi, con uno scatto di reni, prende quei discorsi e li esaspera, li ricombina con il sapere di chi li ha analizzati per anni e con mestiere. «Come possono dialogare […] rigenerazione urbana e paradigma smart? È semplicissimo. Immaginate i processi di riqualificazione urbana come un momento di passaggio verso la costruzione di un vasto bene comune: una gigainfrastruttura comunitaria, caratterizzata, anche e soprattutto, da una dimensione tecnologica e immateriale, che possa mettere in connessione persone e oggetti […]. Si genereranno così inediti flussi di produzione e redistribuzione della ricchezza tramite trickle-down, dove la comunità saprà mostrarsi meritevole attraverso i propri comportamenti virtuosi. Insomma, noi vi diamo la banda larga a pagamento, voi accedete a servizi a pagamento, così facendo la smettete di fare la coda all’anagrafe in via Gramsci 22 e la possiamo finalmente cartolarizzare e trasformare nel MUIM Museo dell’immateriale, oppure nel Distretto locale del gusto digitale FoodForDigitalThoughts […]».


In una nota l’autore scrive di aver consegnato il testo alla casa editrice a metà di marzo 2022. Neppure dieci giorni dopo il sindaco di Bologna presenta una app che viene immediatamente riconosciuta come un esperimento di credito sociale, di quelle insomma con cui i cittadini potranno mostrarsi meritevoli attraverso i propri comportamenti virtuosi. «La città più progressista d’Italia», come la definisce proprio lui, Matteo Lepore, s’affretta così a confermare la caustica parodia di Semi. Il progressismo disvela con orgoglio le sue più squallide rime segrete, quella con conformismo e quella con determinismo.

E noi, sempre che il pronome abbia ancora un senso? Le battaglie che abbiamo creduto di fare non erano tali, non abbiamo posto ostacoli al dilagare del veleno, ci siamo crogiolati in vecchie abitudini. Abbiamo lasciato persino che fossero altri a farle scomparire, quelle vecchie abitudini, con la repressione o più spesso ancora con la seduzione. Neppure questo abbiamo fatto in proprio. Peggio di così rimane solo una cosa: il non saperselo ammettere.


Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 25
16 pagine | 24x34cm | Carta Nautilus Classic gr 100 | 2 colori


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Last modified: 26 Lug 2022

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