Preghiera arcaica delle cose
Seconda ora

testo di Guido Celli
immagini di Emanuele Poki

III
Quale vita ricoveri un teschio
quale, mi chiedo, e quanta
se in fondo è chiaro
che questo resto
questo lascito d’un essere stato
sia anch’esso destinato
a corrosione, a scomparsa

(partendo dove l’osso
una noce d’erba foglia
che le viverie del Mondo
predano, dilaniano
come un gregge di fatiche
biascicate a prodigio dal Tempo
proseguendo verso dove ora
l’osso è intatto, ancora grumo
di ferro come un ramo,
di scorza come un masso
duro così, fino a quanto pare
come prato quando incontra bosco).

Perché un osso appena nasce
è poco più di una cartilagine di luce
un guscio di midolli,
un nodo di albumi
e solo il nervosirsi dei muscoli
solo il magliarsi dei tendini
lo aiuta come poi cresce
lo diventa come poi appare:
una parete bianca di pietraliscia.

E se è assoluto e sacro
che il teschio sia la vita che rimane
del volto animale perduto intorno
lo è altrettanto che ciò sia cerniera
fra lo stelo all’inizio (l’andata)
e la corteccia alla fine (il ritorno).

IV
Di una cosa rotta
quando spiumata di mestiere
quando smunta di banconota
l’uomo non sa cosa farne:
se la possiede la getta
altrimenti neppure la nota.

Quando rotta, la cosa
rotta così, spiumata
rotta così, smunta
la cosa, così, non ha valore
l’uomo la disabita
dal sogno che ha sempre
di abitare avendo, di avere volendo.
Quando rotta, l’uomo
la cosa non la guarda
non la inquadra nel suo vedendo
pensa che l’incanto sia stando
solo nell’intero di una forma
non nel parziale di una lacuna
non nella libertà di una cicatrice.

Eppure questa cosa
questa cosa rotta è stata
una stanza, una casa gugliata
in cui in migliaio la vita
ha avuto androne, fu ospitata.

Eppure questa cosa
questa cosa rotta è ancora
appuntamento di vite nel mare
fra l’adesso, l’allora e il primordiale
incontro di correnti sul fondale
fra Ere e istante, luce e bave.

Eppure questa cosa rotta è
la Storia che il Mondo scrive
a bassorilievo sul tutto
d’ogni cosa che morendo
nacque intera e consunta vive.

Ora resiste al saccheggio delle spiagge
restando sparsa sulle sabbie
come un vecchio casamento
ferito dal vento delle campagne.

L’opera, di cui qui sono pubblicate le stanze tre e quattro, tenta il recupero del sacro che agli oggetti di origine naturale le antiche comunità umane accordavano e che la nostra attuale ha del tutto smarrito. In una società non più contadina, non più nomade, non più bestiamica e bestialica, non più, quindi, legata alla terra e ai suoi rituali, al pascolo e alla sua transumanza, al bosco e al suo mistero, l’oggetto, massificato, si fa nudo e da sacro si tramuta in merce.
L’opera tenta, volutamente in anacronismo, di donare a chi la disegna e a chi la scrive, a chi la legge e a chi la guarda, una ritrovata sacralità verso le cose, pregando le cose stesse di ridarci un’infanzia di sguardo sul mondo adulto nostro contemporaneo.

da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 13
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori

Last modified: 20 Ott 2019

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