È un libro paesaggio.

Non si può rimanere freddi, la lettura dell’ultimo lavoro di Simonetta Lorigliola, dedicato ai Vignai da Duline e al vino in toto, scalda e nutre. Precorritrice, mente pioniera, Simonetta, attraverso il lavoro di Lorenzo Mocchiutti e Federica Magrini, fa dono di un sapere preziosissimo, di materia concreta su cui è necessario soffermarsi e, se possibile, confrontarsi.


Di Laura M. Alemagna
Fotografie di Lorenzo Monasta

 

On a de l’herbe dans la tête, et pas un arbre
Gilles Deleuze, L’oiseau philosophie

Andate a trovarli, non fermatevi qui, andate a trovarli in vigna“. Al microfono, nel Salone del Vino, l’invito a voce rauca di Paolo è, grosso modo, sempre lo stesso: va bene attraversare La Terra Trema, scorrere tra stand, banchetti, agitare i calici, preparare orecchie e nari, ma poi non bisogna fermarsi, occorre compiere altri passi, escogitare e darsi al viaggio, elaborare quell’incontro avvenuto tra le mura di un centro sociale e cominciare a studiare sul campo, tra vigne e cantine, quel panorama smisurato che è la viticultura italiana e il paesaggio composito di cui è fatta.
Andare verso. Sarà stupefazione e conoscenza. 

È un vino paesaggio. Pratiche e teorie di un vignaiolo planetario in Friuli di Simonetta Lorigliola è appena uscito tra i titoli della ferace collana habitus di DeriveApprodi. Quando arriva, siamo immersi in quel percorso arzigogolato che porta alla tre giorni de La Terra Trema nel Novembre del 2017. Le prime pagine scorse sono avvolte in quel contesto di volti, voci, storie di vignaiole e vignaioli.

Prende forma subito il racconto di vita di Federica Magrini e Lorenzo Mocchiutti, Vignai da Duline a San Giovanni al Natisone, Udine, nel Friuli di confine, di parole declinate in tre lingue.
Prende vita questa storia di ricerca e perseveranza e di qui la narrazione si dipana, inerpica, avvinghia ad altre storie, come tralcio di vite, ribaltando confini, volgendo lo sguardo verso un territorio estesissimo, sine finibus, che nell’intreccio di parole, sapienza, memoria, cammina le vigne, sconfina tra Italia, Friuli e Francia, tra passato (prossimissimo) e futuro. È un vino paesaggio è già un viaggio, mappa mundi elaborata e vorticosa, è manifesto e manuale, come scrive in postfazione Michele Spanò.
È compendio utilissimo.

Federica e Lorenzo, vignaioli dal 1997
Prima la vita ruotava intorno a pratiche e ambiti (fisici) diversi: gli studi di antropologia per Federica e di medicina per Lorenzo, la musica, l’attivismo politico, l’esperire per il mondo. Intimamente, invece, la linea sembra già indicata, quasi una linea retta sull’oggi: celebrazione della vita in natura con decisa consapevolezza.
Nel raccontare a Simonetta la vita prima c’è moltissimo.
Sopra ogni cosa metto pratiche che qui conosciamo bene: la potenza dirompente dell’autogestione, dei centri sociali, degli spazi occupati e di tutto quanto ne consegue. Così è. Qui ci si è messi a fare a pugni con le radici, si è imparato di un sapere condiviso, di una dimensione sociale che accudisce un preciso modo di fare scelte politiche, in prima persona, con la consapevolezza che questa chimerica prima persona non è roba chiusa da un solo corpo fisico ma è entità ampia, spalancata su territori, memorie, collettività, lingue, modalità di produzione e distribuzione (di cultura, ad esempio).  
Un patrimonio materiale che, fuori dal cerchio, è stato solitamente minimizzato, ostracizzato anche; con cui pochi seppero relazionarsi con l’idea di innescarne la carica dirompente. Luigi Veronelli fu tra questi.
Il Friuli in cui germogliano Federica e Lorenzo, sul finire degli anni Ottanta, è linfa viva, materia che freme, erba acerba/arbe garbe, veniamo a sapere, e spinge oltre. Simonetta ne traccia, da cartografa, una mappa estesa, minuziosa, sorprendente.

Altrove
Fuori, poco distante da loro e da noi, l’Italia compiva il più tragico dei suoi passi falsi. Inciampava nel vuoto, ciucca persa, stordita da bagliori d’industria, luci notturne di fabbriconi e raffinerie, dal lampeggiare dispotico delle tv. Priva di sensi perdeva lo sguardo tra capannoni, sterminate piantagioni monocrome come distese di cemento, e si ritrovava a mortificarsi, a perdere palato e olfatto con un’infinita gamma di prefritture surgelate.
Altrove, fortunosamente, le cose lasciavano impronte intelligibili: vignaioli friulani nelle osmizze animano quelle cantine e ne fanno approdi spontanei se cerchi vino che sia familiare e quotidiano. Altrove pratiche colturali storiche si tramandano, arbusti selvatici, erbe spontanee compiono e vincono la loro resistenza al diserbo. 

Clima, t/Terra, uomo/donna 
Non lo diresti. Alle due vigne, alla Duline e al Ronco Pitotti, Federica e Lorenzo sono vignai da vent’anni, un arco di tempo ampio segnato dal meticoloso e costante sguardo sulla natura, dal perseverare quotidiano nella ricerca per una rigorosa tutela della fisiologia di quelle piante di vite che possiedono, anni in cui imparano a conoscerle, una per una, individualmente, quelle viti storiche, atomo intorno al quale si organizza un patrimonio terrestre inestimabile di vigne, terra che le sostenta, varietà botaniche che le circondano e le accudiscono, ronzio di api, cieli tersi, montagne, siepi odorose, mani che spostano foglie, occhi che scrutano femminelle.
Peculiarità di un territorio, delle sue stagioni, della materia di cui si compone la sua terra, l’acqua che scorre più prossima, è impatto nella storia dei singoli e delle moltitudini, è vissuto, esperienze, sbagli e lampi di genio inclusi, disastrose annate e produzioni felicissime.
Dalla cantina in poi sarà terroir, sarà vino paesaggio.

“Non chiamatemi uomo, chiamatemi vegetale”
Qualcosa così diceva Libereso Guglielmi, giardiniere nei giardini dei botanici Mario ed Eva Calvino.
Mandragole. Nella figura e nei modi ritorna in mente proprio lui leggendo di foltissime chiome per Lorenzo e di chioma integrale per le sue viti.
E ci ritroviamo nel solco tracciato col bastoncino da Gilles Clément, nel giardino planetario.
Giardiniere/Vignaiolo Planetario Lorenzo Mocchiutti, lo è in modo monumentale nella volontà caparbia e motivata di non cimare, non diserbare, di lasciare il passo a una miriade di fiori blu, erba medica, portentoso motivo di nutrimento per il suolo.
Addentrandosi tra le parole di Simonetta trovi motivi precisi, studiati, elaborati. Chioma integrale è un paradigma ben definito: in fase di accrescimento dei tralci non praticare la cimatura ma asseconda la volontà vegetativa della pianta, ragiona sulla sua fisiologia, fidati. Così si proteggerà essa stessa, così troverà il suo equilibrio totale, tra ricerca di nutrimenti, crescita della superficie fogliare, maturazione dei frutti. In tempi di stagioni secche, asciuttissime, di terre arse, di produzioni dimezzate non è poco.
Simonetta Lorigliola attraversa i filari, sei ettari di superfice vitata tra pianure e colline sempre diverse e sono passi profondi e pieni, uno scrutare attento tra filari e fecondo di erbe spontanee, un carotaggio sensibile della materia, Simonetta è Manzoni entusiasta nell’osservazione delle vigne abbandonate di Renzo Tramaglino.

‘Cause we are living in a material world
And I am a material girl
È un libro paesaggio, fortemente, questo libro di Simonetta Lorigliola, insieme di geografie, disegni nascosti, indagati e disvelati, un percorrere astratto e un camminare la t/Terra. 
È un vino paesaggio è un compendio prezioso per chi nutre e anima il desiderio di decifrare il presente, il mondo, i suoi vini. Un resoconto coscienzioso, scrittura di cultura materiale fitta. Un tourbillon di contaminazioni, nel bene e nel male, scorre tra le pagine. Un patrimonio cognitivo che Simonetta mette generosamente a disposizione.
Tra cucine e ristoratori, esperienze editoriali, palchi di concerti, parole friulane è una storia friulana che tracima e poi scorre, inarrestabile, come deve essere. Nomi che hanno un’eco Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati e Veronelli, affezionato a quelle terre, e che lasciò a Federica e Lorenzo l’onere del Sole con la prima annata del gialloditocai, vigneto Ronco Pitotti, Tocaigiallo 100%. 
“Ciò che cerco in un vino è il racconto. Luigi Veronelli concepiva l’assaggio solo in maniera totale. Godendo, di un vino, gusto e storia. Guardando a chi lo produceva, come e dove. Guardando, insomma, alla terra. Perché la conoscenza aumenta il piacere”. Scriveva così, di sua mano, Simonetta Lorigliola nel 2012, partendo da Luigi Veronelli per presentare incontro e degustazione tra vignaioli planetari nel corso de La Terra Trema di quell’anno.
I vignaioli planetari erano Eris Spagnol dalla Valdobbiadene, Daniele Garella di Agricola Garella dal biellese, Paola Leonardi di Terra d’Arcoiris dai Colli Senesi. Così come nel libro, Simonetta, material girl, prese, con metodo, tutti per mano ed entrò profonda in narrazioni vive, parole di lavoro, di vigne, di paesaggio. Ne scaturì una discussione gustosa su cui è possibile tornare, per via di una traccia audio, in rete, componendo nomi e cognomi dei nostri su un motore di ricerca (dovesse non bastare aggiungete Folletto25603, val un abracadabra).
“Coltivare le vigne in simbiosi con la terra, significa amare la t/Terra” continuava. Fare, il più possibile con, il meno possibile contro. Fu la conclusione comune. La pratica che propaganda (…) la disciplina su cui istruisce, citando ancora Spanò dalla postfazione al libro.
Quel dibattito, quel diorama caldissimo, rese evidenti non poche questioni che riguardano il vignaiolo, il contadino al lavoro in un determinato contesto ma anche una platea più estesa chiamata ad assimilare quelle storie, quelle scelte, quelle modalità di produzione perché l’accezione planetario presuppone il coinvolgimento di ognuno. Veronelli, antesignano, ad litteram, prese tra le mani l’insegna e si fece punto fermo per le truppe. 

È un vino…
O meglio otto. Simonetta Lorigliola ne racconta moltissimo e solo per lasciare tracce preziose a chi ne farà esperienza.
Malvasia Chioma Integrale, Friulano, gialloditocai, Morus Alba e Morus Nigra, Chardonnay, Pinot Nero, Schioppettino. Vini che raccontano questa relazione di grande equilibrio tra uomo e natura. Dire vini di territorio non è più sufficiente, la questione è più ampia e complessa. L’enorme gamma di storie racchiusa dentro ognuna delle bottiglie è sviscerata: la scelta del vetro, le guerre (esterne, fuori da lì) sulle denominazioni, l’assaggio come fatto personale. Tutto quanto raccontato fino a qui riposa – ora – nelle bottiglie dei Vignai da Duline. Sedimenta il lavoro di Federica e di Lorenzo, giacciono la loro memoria familiare e le scelte di nonno e bisnonno, fremono marne e arenarie, scorre lo Judrio, pulsa la natura dei luoghi. Lì dentro si rielaborano scelte tra vigna e cantina.
Vino paesaggio è questa grande intuizione.

…paesaggio
“Preso un certo ambiente, vai a vedere che cosa c’è dall’altra parte dei muri perimetrali”. Questo paesaggio merita tutta l’attenzione e ognuno degli sforzi richiesti dai Pensieri non funzionali di Cesare Pietroiusti. Esige elaborazione creativa dello sguardo ed è monito ai sensi a saper riconoscere cosa, chi, come si determina l’omologazione mortifera dei luoghi siano (stati) questi vallate, landscapes urbani/suburbani, orizzonti e litorali. Faccenda cruciale, volgendo per un attimo le spalle a la Duline e a Ronco Pitotti, interiorizzata nelle elaborazioni politiche, poetiche, artistiche.
“(…) la storia del paesaggio s’incrocia con quella del lavoro e in particolare con la storia del vino e della coltivazione della vite di cui, come è stato detto, la storia civile è la propaggine. Seguire la strada dei vini e delle viti (…) equivale a ripercorrere le tracce vistose dell’addomesticamento del territorio selvaggio strappato al dominio della «gran maestra natura» dalle tecniche lavorative dell’uomo”. Scriveva Piero Camporesi ne Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano.
Margine/siepe/clos.
Lo spazio dello scambio tra quanto è antropizzato e quanto è natura: paesaggio è anche il luogo di questa grande riflessione e il soggetto con cui (tutti dobbiamo) fare i conti. Vignai da Duline, senza cedere a semplificazioni, ha costruito il suo progetto su questa relazione complessa e faticosa.

Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 07
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Per la lettura di questo e dei prossimi numeri de L’Almanacco potete scrivere a info@laterratrema.org
o cercare la vostra copia in uno di questi nodi di distribuzione autogestititi dai sostenitori.

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Last modified: 11 Mar 2023

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