TERRA, CORPI, CASA
Di feminoska
Illustrazione di Lilo
Sentirsi a casa di bell hooks è un testo radicale e necessario: in un mondo sempre più segnato da espropriazione, dislocamento e alienazione, hooks ci ricorda che “casa” non è solo un luogo fisico, ma un’esperienza emotiva, politica e spirituale di appartenenza.
Questo libro è una dichiarazione d’amore per la terra, per i corpi neri, per le relazioni radicate e le storie negate. hooks intreccia autobiografia, memoria collettiva e critica sociale, non limitandosi a raccontare l’esilio forzato degli afroamericani dalla terra a causa della schiavitù, della mezzadria e delle migrazioni imposte, ma denunciando la violenza strutturale del capitalismo razziale che ha trasformato la terra in proprietà. Ed è per questo che la casa di cui parla con insistenza non rappresenta solo un rifugio privato, ma un orizzonte di liberazione: la possibilità concreta di vivere in un mondo dove il corpo, la terra e la comunità non siano più separati l’uno dall’altra.
Leggere questo libro oggi significa anche interrogarsi su cosa voglia dire “abitare” un tempo di crisi climatica, gentrificazione e razzismo ambientale. hooks ci offre una visione ecologica e decoloniale dell’abitare, dove cura e giustizia sono inseparabili; una visione che rompe con l’individualismo neoliberale e invita a coltivare relazioni di mutualità, responsabilità e amore radicale. Sentirsi a casa non è quindi un libro nostalgico, ma piuttosto una presa di posizione. È una chiamata a rifiutare ogni forma di sradicamento imposto, a rivendicare la terra come spazio di vita e non di sfruttamento. hooks, con la sua voce inconfondibile, ci guida in un viaggio profondo e necessario verso un modo diverso di stare al mondo, più libero e giusto.
Il capitolo “Toccare la terra” rappresenta in questo senso una riflessione profonda sull’intimo legame esistente tra identità, appartenenza e connessione con la terra. Attraverso ricordi personali e analisi storiche, hooks esplora come la relazione con la terra abbia influenzato la cultura afroamericana, evidenziando le conseguenze della separazione forzata da essa.
Nei ricordi d’infanzia di hooks, la terra è fonte di vita e orgoglio per la sua famiglia. Nonostante le difficoltà del sistema di mezzadria, i suoi nonni sperimentano gioia e dignità nel coltivare la terra. E anche se non idealizza quel passato, riconoscendone la durezza, le ingiustizie, la povertà, sottolinea allo stesso tempo una verità ostinata, ovvero che l’amore per la terra sopravvive alla disumanizzazione, e anzi può diventare una via di resistenza e di guarigione. I ricordi personali si intrecciano con la storia collettiva degli afroamericani, che, deportati come schiavi, hanno mantenuto un profondo rispetto per la natura, condiviso anche con i nativi americani. Le persone nere degli Stati Uniti hanno visto il proprio rapporto con la terra spezzato dalla violenza della schiavitù, dalla povertà imposta, dall’espropriazione sistematica. Eppure, nonostante il trauma, la terra resta un luogo di desiderio, di possibilità, di ritorno.
La migrazione degli afroamericani dal Sud agrario al Nord industrializzato ha comportato un’ulteriore perdita significativa, poiché l’allontanamento dalla terra ha significato una disconnessione dal corpo e dalla spiritualità. hooks cita esempi letterari, come il personaggio di Miss Pauline nel romanzo di Toni Morrison L’occhio più azzurro, per illustrare come la separazione dalla natura abbia influenzato negativamente l’autopercezione e il benessere psicologico. La società moderna, secondo hooks, ha contribuito a questa disconnessione, promuovendo un modello di vita che separa mente e corpo e allontana le persone dalla natura. Tuttavia, l’autrice sottolinea l’importanza di ristabilire questo legame, non solo per il benessere individuale, ma anche come forma di resistenza culturale e spirituale. Coltivare la terra quindi, anche in piccoli spazi urbani, diventa un atto di riconnessione con le proprie radici e di affermazione dell’identità. Solo riconoscendo la sacralità della terra e del corpo si può aspirare a una società più giusta e armoniosa.
Toccare la terra non è un gesto privato o sentimentale: è un atto di riappropriazione politica. hooks ci invita a rifiutare le narrazioni dominanti che associano la terra al servilismo, al degrado, all’arretratezza. Per le persone nere, per le donne, per chi è stato alienato dal mondo naturale, riconnettersi alla terra significa rompere un incantesimo coloniale. Con la sua voce inconfondibile – affilata, tenera, radicale – hooks ci chiama a immaginare forme di abitare che non siano fondate sulla proprietà e sul controllo, ma sulla cura, sul rispetto, sulla relazione. Per toccare la terra non esclusivamente con le mani, ma anche con l’anima… Perché solo così potremo guarire, solo così potremo davvero sentirci a casa.

bell hooks
Sentirsi a casa
Una cultura dei luoghi
Capitolo terzo
Toccare la terra
Desidero vivere perché la vita ha in sé l’amore,
ciò che è buono e ciò che è bello.
Avendo conosciuto tutte queste cose,
le considero una ragione sufficiente, per questo desidero vivere.
Inoltre, per lo stesso motivo,
desidero che anche gli altri vivano,
per generazioni e generazioni e
generazioni e generazioni.
(Lorraine Hansberry,
To Be Young, Gifted, and Black)
Amare la terra significa amare noi stessi più pienamente. Ne sono convinta, e i miei antenati mi hanno insegnato che è così. Da bambina amavo giocare con la terra, quel ricco suolo del Kentucky fonte di vita. Ancor prima di comprendere l’entità del dolore e dello sfruttamento derivante dal sistema di mezzadria in vigore nel Sud, avevo intuito il grande amore dei neri per la terra. In piedi al fianco di mio nonno, Daddy Jerry, osservavo i campi coltivati a pomodori, mais, cavoli, consapevole che era tutto quanto frutto del suo lavoro. Nell’esprimere meraviglia e stupore di fronte alla magia di ciò che cresce, scorgevo sul suo viso un’espressione d’orgoglio. Sapevo che l’orto di mia nonna Baba avrebbe prodotto fagioli, patate dolci, cavoli e zucca gialla, che anche lei avrebbe camminato con fierezza tra file e file di verdure in maturazione, mostrando orgogliosa ciò che la terra sa donare quando viene curata con amore.
Sin dal primo incontro, i nativi americani e gli africani deportati scoprirono di avere in comune il rispetto per le forze vivificanti della natura e della terra. I coloni africani in Florida insegnarono ai fuggiaschi della Nazione Creek, conosciuti come “Seminole”, i metodi per coltivare il riso. D’altro canto, i popoli nativi insegnarono ai neri arrivati da poco gli svariati usi del mais (la focaccia di mais, caposaldo della nostra alimentazione, ci venne tramandata dalla tradizione indiana). Il rispetto per la terra condiviso da neri e indiani ci ricordava che, a dispetto degli usi dell’uomo bianco, la terra era di tutti. Capo Seattle proferì queste parole nel 1854:
Come potete acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci sembra strana. Se noi non possediamo la freschezza dell’aria e lo scintillio dell’acqua sotto il sole, com’è che voi potete acquistarli? Ogni parte di questa terra è sacra per il mio popolo. Ogni lucente ago di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di bruma dei boschi ombrosi, ogni radura o insetto ronzante è sacro, nel ricordo e nell’esperienza del mio popolo. Noi siamo parte della terra, e la terra fa parte di noi. Le corolle profumate dei fiori sono nostre sorelle, il cervo, il cavallo e la grande aquila nostri fratelli, la cresta rocciosa, il verde dei prati, il corpo caldo dei pony e l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia.
Il senso di unione e armonia con la natura espresso in queste righe risuona nella testimonianza dei neri, che sebbene dovettero scontrarsi con una vita “dura, durissima” nel Nuovo Mondo, trovarono una dimensione di pace nella relazione con la terra. L’autobiografia orale di Onnie Lee Logan, una nonna ostetrica1 che visse per tutta la vita in Alabama, narra le ricchezze della vita contadina: coltivare verdure, allevare polli e affumicare carne. Racconta:
Abbiamo vissuto una vita felice e confortevole, per esserci lasciati da poco alle spalle il tempo della schiavitù. Non conoscevo nient’altro che la vita della fattoria, ed ero felice, eravamo felici… Non potevamo fare altro che essere felici, accettando ogni momento per quello che è, per quello che è stato. Giorno per giorno, finché non lo dicevamo nemmeno più che c’erano stati tempi duri. Li ignoravamo, non ci pensavamo. Siamo solo andati avanti. Avevamo quello che serve per vivere bene e tirare avanti.
La società moderna, che ha perso il contatto con la storia, ci ha fatto dimenticare che i neri erano, prima di tutto, un popolo legato alla terra, un popolo di contadini. La gente ha dimenticato che, nella prima parte del ventesimo secolo, la maggior parte dei neri americani viveva nel Sud agrario, immersa nella natura, e per questo motivo coltivava in sé uno spirito di meraviglia e riverenza per la vita. Producevano cibo per nutrirsi e fiori per compiacere l’anima, alimentando una connessione stabile e vitale con la terra, diventando testimoni della bellezza. Wendell Berry, nel descrivere il rapporto speciale esistente tra agricoltura e benessere spirituale in The Unsettling of America, ci ricorda che lavorare la terra dà modo alle persone di sperimentare un senso di potere personale e benessere:
Un lavoro è ben fatto quando impieghiamo le nostre energie di creature compagne delle piante, degli animali, dei materiali e delle altre persone con cui lavoriamo. Lavorare in questo modo ci avvicina gli uni agli altri, ed è salutare. Ci fa sentire a casa, immuni dall’orgoglio e dalla disperazione, e ci colloca responsabilmente all’interno della famiglia umana. Ci definisce per come siamo: non abbastanza bravi da lavorare senza i nostri corpi, ma troppo bravi per lavorare male o senza gioia, in modo egoistico e in solitudine.
L’impatto psicologico della “grande migrazione” dei neri, dal Sud agrario al Nord industrializzato, non è stato studiato abbastanza. Il romanzo di Toni Morrison, L’occhio più azzurro, tenta di documentare, romanzandole, le ferite inferte da un simile viaggio alla psiche nera. Nel lasciare il Sud per vivere in una città del Nord, Miss Pauline, uno dei personaggi neri “sfollati” del romanzo di Morrison, ormai lontana dal mondo naturale dove aveva tempo per il silenzio e la contemplazione, perde la capacità di sperimentare il mondo sensuale che la circonda. Il Sud, nella sua mente, è associato a un mondo di bellezza sensuale che trova la propria massima espressione nella natura. Infatti, quando si innamora per la prima volta, il solo modo in cui riesce a verbalizzare quell’esperienza passa attraverso l’evocazione di immagini naturali, del paesaggio agreste e di un mondo selvaggio fatto di splendore naturale:
La prima volta che ho visto Cholly, ve lo dico io, era come vedere tutti i colori di quella volta giù a casa quando con gli altri bambini sono andata a raccogliere mirtilli dopo un funerale e ne ho messi un po’ in tasca nel vestito della domenica, ma si sono schiacciati e mi sono sporcata sui fianchi. Il vestito era tutto macchiato di viola, e non è diventato più pulito. E neanch’io: continuavo a sentire quel viola dentro di me. E quella limonata che faceva la mamma quando il papà andava nei campi. Era fresca e gialla, coi semini sospesi sul fondo. E quei lampi di verde che gli insetti di giugno facevano sugli alberi la notte che siamo partiti. Tutti quei colori erano dentro di me.
Per la psiche collettiva dei neri, trovarsi a lottare per guadagnarsi da vivere nel Nord industrializzato, lontano dalla terra, deve essere stato un duro colpo. Il capitalismo industriale non ha semplicemente trasformato la vita lavorativa dei neri, ma ha alterato pratiche comunitarie fondamentali per la sopravvivenza nel Sud agrario, e ha irrimediabilmente alterato il rapporto dei neri con il corpo. Nel trasferirsi al Nord, Miss Pauline perde la capacità di apprezzare il proprio corpo, difetti compresi.
La motivazione alla base della scelta dei neri di lasciare il Sud e trasferirsi al Nord era sia materiale che psicologica: volevano lasciarsi alle spalle le palesi molestie razziste che erano una costante della vita nel Sud, e volevano accedere ai beni materiali e a un livello di benessere che era loro precluso, dal momento che i bianchi, nel Sud agrario, limitavano l’accesso dei neri alla sfera del potere economico. Naturalmente, anche al Nord la vita si rivelò spesso piena di amarezze e difficoltà: il razzismo era altrettanto virulento, ed era molto più difficile per i neri diventare proprietari terrieri. Private dell’opportunità di coltivare la terra, sentirsi in comunione con la natura e lenire la durezza della povertà con lo splendore dell’ambiente naturale, le persone nere e razzializzate attraversarono momenti di profonda depressione. Sul lavoro, il loro corpo era considerato esclusivamente uno strumento (proprio come ai tempi della schiavitù) e, di conseguenza, si verificò un profondo scollamento tra mente e corpo. La rappresentazione del corpo divenne più importante del corpo stesso, e della sua salute: l’importante era che avesse un bell’aspetto.
L’allontanamento dalla natura e la scissione tra mente e corpo contribuirono a rendere la gente nera ancora più vulnerabile all’interiorizzazione dei pregiudizi della supremazia bianca sull’identità nera. Facendo proprio il disprezzo per la nerezza, la gente del Sud trapiantata al Nord subì un vero e proprio shock culturale, perdendo il contatto con la propria anima. Waring Cuney scrisse una poesia, molto popolare negli anni ’20, che testimoniava la perdita della connessione con il proprio sé, e la durezza della vita cittadina rispetto a quella contadina, sperimentata dai neri:
Non è consapevole della propria bellezza, pensa che il suo corpo nero non valga nulla.
Se potesse danzare nuda sotto le palme
E vedere il riflesso della sua immagine nel fiume Cambierebbe idea.
Ma non ci sono palme per strada, e l’acqua dei piatti non riflette nulla.
Intere generazioni di neri emigrati a Nord per sfuggire alla vita del Sud sono tornate sui propri passi, alla ricerca di quel nutrimento spirituale e di quella guarigione intima indissolubilmente legata al riaffermarsi della connessione con la natura e a una vita di contemplazione, nella quale sia possibile prendersi del tempo per sé, sedersi sotto il portico, camminare, pescare e catturare lucciole. Se pensiamo alla vita urbana come il luogo in cui i neri hanno imparato a fare propria quella scissione tra mente e corpo che ha reso possibile lo sfruttamento di quest’ultimo, comprendiamo con maggior chiarezza il dilagare del pessimismo e della disperazione nella psiche nera. E ci rendiamo conto che, per parlare di guarigione, è necessario chiedersi come possiamo ripristinare la nostra connessione con il mondo naturale.
Ovunque viviamo, possiamo recuperare il nostro rapporto con il mondo naturale prendendoci del tempo per immergerci nella natura, e apprezzare le creature con cui condividiamo il pianeta. Persino nel mio appartamentino di New York riuscivo ad ascoltare il canto degli uccelli, o contemplare un albero. E possiamo sempre coltivare piante, erbe aromatiche, fiori, verdure. I romanzi di scrittrici e scrittori afroamericani che parlano della migrazione nera descrivono in dettaglio quanto queste persone si siano sforzate di fare spazio alla coltivazione di fiori e verdure. Per quanto mi riguarda, pur discendendo da una famiglia contadina mi sono sempre sentita negata per il giardinaggio. Negli ultimi anni ho scoperto invece di non essere così male, e mettere in tavola cibo coltivato con le mie mani mi fa sentire connessa ai miei antenati. Quelli che mi danno più soddisfazione sono i cavoli verdi, resistenti e facili da coltivare.
La società moderna tende a negare la correlazione esistente tra la lotta dei neri volta al recupero del proprio sé collettivo e i movimenti ecologisti, che si sforzano di ripristinare l’equilibrio del pianeta modificando il nostro rapporto con la natura e le sue risorse. Al giorno d’oggi molte persone nere e razzializzate ignorano la nostra tradizione di armonia con la terra, e per questo motivo non percepiscono l’importanza di sostenere i movimenti ecologici, a volte considerano persino l’ecologia e la lotta antirazzista in conflitto fra loro. Celebrare l’eredità dei nostri antenati, consapevoli che il nostro modo di considerare la terra e la natura determina anche il livello della nostra autostima, significa per la gente nera rivendicare un’eredità spirituale capace di collegare il benessere personale al benessere della terra. Quest’ultima è una dimensione necessaria della guarigione. Come ci ricorda Berry:
Solo ripristinando le connessioni interrotte possiamo guarire. La connessione è salute. La società fa di tutto per nasconderci quanto la salute possa essere un fatto normale, alla portata di tutti. Quando non riconosciamo le connessioni dirette tra la nostra vita e il cibo, tra il cibo e il lavoro, tra il lavoro e l’amore, perdiamo la salute e creiamo malattie e dipendenze redditizie. Quando coltiviamo per produrre cibo, ad esempio, il corpo lavora per nutrire sé stesso. È uno sforzo che, se compiuto con consapevolezza, rende il cibo squisito e fa venire fame. È un lavoro, quindi, che rende l’atto di mangiare sia nutriente che gioioso, non consuma, né ingrassa o indebolisce. La salute e l’integrità sono fonte di gioia. La guarigione collettiva dei neri sarà possibile solo quando saremo capaci di rinnovare il nostro rapporto con la terra, mettendo in pratica le tradizioni dei nostri antenati. Quando la terra è sacra, anche i nostri corpi lo sono.
1 Fino alla metà del XX secolo, donne comunemente note come “nonne ostetriche” assistevano alla maggior parte dei parti nell’Appalachia meridionale. Facevano parte della comunità e non avevano ricevuto una formazione professionale, ma avevano imparato le necessarie tecniche osservando altre ostetriche. Sebbene il termine “nonna” implichi che si trattasse di donne anziane, non era necessariamente così [N.d.T.].

bell hooks
Sentirsi a casa
Una cultura dei luoghi
Meltemi, 2023
Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 37
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100
Per ricevere e sostenere questa pubblicazione: info@laterratrema.org
Last modified: 31 Ago 2025