Diario di viaggio tra vite improntate sul vino

testo di Gianmaria Sortino, fotografie di Jacopo Loiodice

“Gaumarjos” (გაუმარჯოს, pronuncia ga-oe-mar-djos) probabilmente è la parola che si sente pronunciare più spesso in Georgia. Può essere tradotta con “vittoria a te” o “alla tua vittoria”, ed è il corrispettivo italiano di “salute” durante il brindisi. Nella quasi totalità dei casi ciò con cui brindano i georgiani – e tutti quelli che per disgrazia o per fortuna si trovano con loro in quel momento – è del vino. Fiumi di vino. Quando io, Giulia, Jacopo e Zuzza siamo partiti dall’Italia per la Georgia, non potevamo immaginare neanche lontanamente la portata di questi fiumi. Ma non stiamo parlando di un problema sociale legato all’abuso di alcol. Prima della partenza, informandoci sul web o ricomponendo notizie di prima mano con devozione sacra e ardente curiosità, sapevamo che stavamo andando nella culla archeologica del vino, nel paradiso perduto da cui verosimilmente tutto cominciò, ma non potevamo presumere che significato reale avesse il vino, oggi, per la Georgia e per i georgiani. Come sempre, la realtà cambia le aspettative e colma i vuoti di senso che accompagnano le nostre partenze.

Il pretesto del viaggio è Zero Compromise, la fiera annuale di Tbilisi che raccoglie produttori georgiani di vino naturale, per lo più piccoli e indipendenti. Per un europeo alla scoperta del vino georgiano – o meglio, di un certo tipo di vino georgiano – non c’è occasione più ghiotta. Ma partecipare a una fiera può essere sclerotico: tanta gente, poco tempo, troppe informazioni. Per questo la scelta di accompagnare Zero Compromise con delle visite in cantina bilancia il nostro agonismo etilico con la genuina curiosità nei confronti dei produttori e dei territori.  È in campagna che abbiamo conosciuto le persone e le pratiche, è alla fiera che ci siamo fatti un’idea generale del vino georgiano.

Zero Compromise
Zero Compromise

Nelle campagne del Kakheti, la più esportata ed esotica regione vitivinicola della Georgia, abbiamo incontrato i primi vignaioli che per scelta hanno trasformato la loro vita per dedicarla al vino. È a Sighnaghi, un borgo a 761m di altitudine con temperature invernali anche di -10°C, che Archil si trasferisce nel 2013 dopo aver lasciato il suo lavoro di ingegnere informatico a Tbilisi: qui ritorna alla dimora dei nonni, dove passava le estati da bambino, e riprende le vigne di famiglia, vecchie di quarant’anni e distribuite su 2 ettari di terreno. Non a caso il nome della cantina di Archil è Kerovani, da kera, la candela che illuminava la casa di famiglia in passato. Per lui la casa dei nonni, che ha centocinquant’anni di storia, è la sua kera, la luce che illumina il suo posto dell’anima. Pur con questa dose di romanticismo, Archil non è uno sprovveduto e i suoi progetti di ampliamento della cantina sono ambiziosi e ben progettati: acquisto di altre vigne, realizzazione di un ristorante e di un b&b nella bellissima tenuta. Dopo aver assaggiato i suoi vini, Archil ci permette di portare con noi una prova di botte di simonaseuli, un raro vitigno georgiano di uva rossa ma dal colore quasi blu, non ancora in commercio, un esperimento. Noi lo troviamo sorprendente. 

Archil
Archil nella Kerovani Marani
Qvevri in posa nella Kerovani Marani

Anche Tedo ha cambiato la sua vita per il vino o, meglio, ne ha trovata una nuova con la pensione: da architetto nel paese di Ninotsminda a vignaiolo nella Tedo’s Marani di Sagarejo, dopo aver recuperato le terre, a quasi 40km di distanza, dal kolchoz di famiglia. Per lui mettersi a fare vino sembrava una cosa naturale. È una pratica che già conosceva, come la maggior parte dei georgiani, dotati per tradizione di piccole vigne famigliari. I suoi vini sono pieni, piacevoli, di personalità, come lui. Tedo è senza dubbio il vignaiolo più generoso e accogliente che abbia incontrato finora. Sarà stata la grande quantità di vino che ci ha fatto assaggiare, sarà stato il banchetto delizioso preparato da sua moglie, sarà stato il carattere conviviale che in genere i georgiani creano attorno alla tavola, ma alla fine della visita Tedo per noi era come uno di famiglia, un nonno benevolo, un amico fidato.

Tedo nella sua marani
Tedo a Zero Compromise

C’era dell’orgoglio in Tedo. Un orgoglio legato alla custodia e alla trasmissione di un sapere antico, famigliare, e istintivo allo stesso tempo. E dell’orgoglio c’era anche in Archil, quell’orgoglio che alimentava la sua gentile tenacia nella progettazione ponderata della sua nuova vita col vino. E c’è anche in Rezo, anzi, è la prima cosa che traspare dalla sua persona: una corporatura poderosa, un atteggiamento dimesso e zergo che cela una grande bonarietà. Rezo si occupava delle spedizioni nella ditta farmaceutica del padre. Vent’anni fa la famiglia compra una casa a Kiketi, nelle campagne a 25km fuori Tbilisi a 1200m di altitudine, e nel 2013 vi si trasferisce definitivamente, costruendo la cantina e iniziando a vinificare con uve sia acquistate da varie zone della Georgia sia prodotte dai vigneti di famiglia nel Kakheti, a più di 100km di distanza. Rezo lascia il suo lavoro e diventa vignaiolo, perché “è uno dei migliori modi per vivere”. È qui che Rezo trova la sua kera, ed è qui, insieme alla sua famiglia e ai suoi amici, che progetta il suo futuro, con grande passione. La tenuta di Rezo, Tanini, è tutta un cantiere: sopra la tradizionale, semplice e bellissima marani in legno e mattoni, è in costruzione una moderna sala degustazioni. Anche qui, progetto di accoglienza e ospitalità. I suoi vini rispecchiano la vita di Rezo in questo momento: forti, taglienti, ancora in fieri.

Rezo
Le qvevri di Tanini
Appunti di vinificazione
Rezo e noi

Tedo, Archil, Rezo, li incontriamo tutti di nuovo a Zero Compromise, stavolta dietro gli stand, circondati da sciami di avventori nel fracasso generale. Un centinaio di produttori, un’enorme proposta di vini (nota di demerito: la durata troppo breve, dalle 11:00 alle 17:00 e per di più in un solo giorno!). In questo marasma il nostro cicerone è Giorgi, detto Giorgino per la sua stazza montagnosa. Sì, i georgiani sono omoni. E Giorgi è l’omone che ci ha guidato nella nostra permanenza in Georgia. Giorgi è un giovane vignaiolo, dalla grande socievolezza e affabilità, legato a un’enoteca di Tbilisi, Wine Boutique. Ci ha aperto un mondo di vini, di persone, di cibo, di spazi alternativi di confronto (come la Saamuri Wine Tasting, dove abbiamo assaggiato tra le cose più interessanti in assoluto, un piccolo gioiello dagli esordi brillanti, che per qualità non ha niente da invidiare a Zero Compromise). Come le altre persone che abbiamo incontrato anche lui sta improntando la propria vita sul vino. Ha iniziato a farlo da poco tempo ma non ha né cantina né vigneti di proprietà. Il suo progetto con piccolissimi e remoti produttori da tutta la Georgia è di produrre con ciascuno di loro un vino, portarlo in giro e farlo conoscere, proponendolo ai ristoranti o alle manifestazioni. Il suo sogno è dare una prospettiva economicamente sostenibile a suo zio, che ha una piccola vigna nella regione dell’Imereti, spingerlo a concentrarsi sulla sua passione, la vigna, e a sistemare la piccola cantina di famiglia ormai abbandonata e sommersa dalle erbacce.

È vero: noi abbiamo visto la Georgia attraverso il filtro della cultura del vino; abbiamo conosciuto principalmente vignaioli, produttori, esercenti di enoteche e di ristoranti, persone che hanno modellato o stanno modellando in questo momento la propria vita attorno al vino; ma come non pensare alle supre, alle amicizie nate con i brindisi, al fermento attorno alla nuova economia del vino, ai discorsi di realpolitik sulle tasse sulle esportazioni del vino, alla storia millenaria della vinificazione georgiana, all’orgoglio dei georgiani quando parlano della piccola vigna di famiglia, quando ti fanno assaggiare l’ultima annata cercando approvazione nei tuoi occhi, alle campagne sterminate e costellate di vigneti, alla normalità e spontaneità con cui tutti, ma proprio tutti i georgiani attorno a noi, nelle case, al bancone, per strada, bevono un bicchiere di vino? Senza avventurarmi in deduzioni nazionalistiche e identitarie non pertinenti, il vino è qualcosa che semplicemente appartiene ai georgiani, e con spontaneo, naturale orgoglio. Questo è il senso del vino in Georgia, ed è qualcosa che non lascia indifferenti chi il vino lo ama. 

C’è qualcosa di antico, di autenticamente arcaico in Georgia. Forse l’associo al fatto che è stata anche la culla della cristianità, oltre a quella del vino: quasi un senso di sacro, di reverenziale, dovuto al fatto che si tratta di un luogo di origini. E questo in qualche modo sembra essersi riverberato fino a oggi nella grande generosità e gentilezza delle persone che abbiamo incontrato nella nostra breve permanenza: un’attenzione per l’amicizia, un rispetto per l’incontro, senza formalità o smancerie, ma con modi leali, puliti, mai goffi. In fondo sono le persone che fanno un luogo, che diventano indissociabili dagli sfondi e ne danno un senso e un sentimento. Forse sono state proprio le persone, i nostri incontri, a rendere per noi la Georgia un posto dell’anima, una nostra kera.


IL VIAGGIO IN GEORGIA PARTE DA QUI:

Georgia: ritorno al futuro
Una solida vocazione vitivinicola e un’inguaribile passione per il vino, tra sapere consolidato e nuove tendenze.
Testo di Gabriele Moscatelli, fotografie di Jacopo Loiodice



Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 26
16 pagine | 24x34cm | Carta cyclus offset riciclata gr 100 | 2 colori
Per ricevere e sostenere questa pubblivazione: info@laterratrema.org

Last modified: 24 Nov 2022

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