Pubblicato il 15/01/2021 su Khatt30.com (che ringraziamo ancora per la generosa condivisione).

di Abdel Rahim Al Khasar
traduzione a cura di Roberta Pasini
con il contributo di Giuseppe Pensabene
Immagini: Khatt30

Il cibo è nutrimento il cui sapore non cambierà a causa di un cucchiaio… Eppure mangiando con le mani si crea un’intimità speciale e prendere il cibo diventa un rituale.

A quindici anni mi trasferii in una piccola cittadina per continuare gli studi poiché nel nostro paese non c’erano scuole superiori. Mi ci vollero due anni da studente interno per adattarmi al regime collegiale. Un sistema, quello del collegio, che si estendeva sulle ore scolastiche, di riposo e sull’ora dei pasti. In mensa si dovevano osservare molte regole, prima ci si metteva rigorosamente in fila indiana, si doveva entrare ordinati e poi ci si sedeva al posto assegnato a ognuno. Attorno a ogni tavolo si disponevano otto studenti e di fronte a ognuno si trovavano un piatto, un bicchiere, una forchetta, un coltello e un cucchiaio.

Fu in quei giorni che incontrai la forchetta per la prima volta e provai uno strano piacere nell’utilizzarla. Afferrando la forchetta con la mano sentivo un sentimento di soddisfazione e pienezza, probabilmente una sorta di spavalderia di cui forse avevo bisogno perché provenivo da una famiglia semplice di paese. Oltre a questa novità, un altro cambiamento riguardante il cibo mi sorprese, mi servivo il cuscus con il cucchiaio, mentre a casa lo prendevo con le mani come il resto della mia famiglia.

“Non c’è niente di meglio che mangiare con le mani”

Abituato al regime collegiale, ogni volta che tornavo a casa per le vacanze andavo in cerca del cucchiaio. Mia nonna notò questo cambiamento e me ne chiese la ragione. Le risposi che il cuscus al collegio si mangiava così. Mi disse: “non c’è niente di meglio che mangiare con le mani”. Le risposi: “Lì nessuno di noi mette la mano direttamente nel piatto senza l’ausilio di un oggetto di metallo”. Mi disse allora: “e quando il cibo è più caldo di quanto dovrebbe? Il cucchiaio ti avverte?”.

Non c’era risposta alla sua domanda. Non potevo dirle che mangiavamo anche con la forchetta perché sapevo che avrebbe fatto dell’ironia sulla sua forma che sembra essere fatta per qualsiasi cosa tranne mangiare, potrebbe stare benissimo accanto al cacciavite nella borsa del meccanico o alle lime nella clinica di un dentista.

Eravamo seduti al tavolo da pranzo quando mia nonna mi chiese: “Qual è la differenza tra la mano e il cucchiaio?”. Risposi: “La misurazione della temperatura”. Mi disse ridendo: “No, il cucchiaio è come la sposa del padre, mentre la mano è la madre”. Le chiesi di spiegare questa strana affermazione e mi rispose così: “La moglie di tuo padre potrà mai essere più affettuosa di tua madre?”. Le risposi: “Certo che no”. Continuò: “Quando spingi il cucchiaio nel vassoio del cuscus per ritornare pieno verso la bocca, potresti esserne ingannato in ogni momento e se il boccone è bollente, ti scotti la bocca e ti fai male. Così come tua madre non potrebbe mai farti del male, allo stesso modo la mano sa già se il boccone è pronto per essere mangiato e puoi portarlo alla bocca o se serve che si raffreddi ancora. È la mano che sa la risposta e si incarica di raffreddare il cibo”.

Guardai fisso mia nonna mentre mi trasmetteva questa preziosa sapienza: “La mano forma delle palline per creare i bocconi di cuscus, li muove a lato del vassoio e li porta in aria per farli raffreddare. Accarezzando il boccone la mano ti accarezza. Per questo è come la madre. Invece del cucchiaio non ci si può fidare, non sarà mai dello stesso rango di una madre. È proprio come la sposa del padre. E poi, dopo aver mangiato, ci si lecca le dita, tu che cosa ti leccherai? Un pezzo di metallo?”.

Il cucchiaio e l’alzheimer

Con i capelli tinti di henné, i tatuaggi verdi sul mento e l’aspetto rossiccio, mia nonna assomigliava alle donne dei nativi americani. In quel momento sembrava come se mi trovassi di fronte a un saggio indiano. Mia nonna visse odiando i cucchiai. Mangiava il cuscus con la mano e si divertiva a trasformare il boccone in una pallina gialla che a noi bambini sembrava una pallina da tennis.

Anche quando si trattava di minestra, non ricorreva al cucchiaio, ma a un mestolo di legno che, a differenza del metallo, trattiene il calore. Il mestolo di legno era quindi in una posizione intermedia tra la madre e la matrigna. Quando la zuppa era troppo calda, metteva da parte il mestolo e portava la ciotola direttamente alla bocca.

Mia nonna credeva che il cuscus mangiato con le mani fosse più buono. Lo stesso vale per tutte le sorelle del cuscus, cioè quello che noi marocchini chiamiamo baddaz e belbula. È difficile da spiegare, il gusto del cibo non cambia a causa di un cucchiaio, eppure esiste un’intimità speciale creata dal mangiare con le mani e un legame segreto tra una persona e le sue mani. Un legame basato principalmente sulla fiducia e sull’annullamento di ogni spiacevole sorpresa.

La vita moderna esige che a tavola ci siano cucchiaio, forchetta e coltello, nonostante la scienza moderna veda in questi strumenti una causa dell’insorgere dell’alzheimer, malattia provocata dal deposito di particelle di alluminio nel cervello, e parli anche della presenza sulle mani di batteri benefici per il corpo che vengono attivati solo al contatto con il cibo.  

A mia nonna è sempre sembrato che il cucchiaio fosse un estraneo nella nostra vita e l’unico utensile di ferro consentito era il coltello. Nella maggior parte delle cucine tradizionali non sono presenti utensili di ferro. Ci sono tagine fatte di terracotta, ghorarif che assomigliano a delle caraffe fatte anch’esse di terracotta, scodelle ricavate per lo più dagli alberi di mandorlo e ginepro, mestoli di legno, cestini per il pane fatti con la pianta di scirpus, e il nascosto, un tipo di piatto fatto di terracotta.

Da noi alcuni abitanti della costa usano le conchiglie delle ostriche al posto dei cucchiai. Non so come sia arrivata questa scoperta ma è menzionato nella storia, nonostante la scarsità di scambi, che nella cultura greca si usavano le conchiglie delle ostriche come cucchiai. 

I cucchiai hanno una storia

In Marocco i cucchiai si chiamano aashaq, con la vocale ‘a’, parola che dal punto di vista linguistico non ha nessun legame con il verbo arabo aashiqa [amare appassionatamente, n.d.t.] e pare invece che derivi dalla parola turca kashak, che significa utensile di cucina.

Mia nonna non sapeva che i cucchiai avessero una storia e anche se l’avesse saputo non ci avrebbe creduto. Sarebbe stato difficile per me convincerla che gli uomini si convertirono al cucchiaio ben prima di Cristo. Gli antichi egizi fabbricavano i loro cucchiai con l’avorio e il granito, greci e romani li fabbricavano con il rame e l’argento prima che il cucchiaio d’oro diventasse poi un simbolo di buona fortuna. Forse l’uomo primitivo usava le mani come cucchiaio, e forse poi, prima di scoprire i metalli, ne fabbricò usando la terra, le foglie degli alberi, o le ossa degli animali che cacciava. Si dovrà aspettare all’incirca fino al quindicesimo secolo per vedere apparire cucchiai simili a quelli di oggi, che si diffonderanno nel diciottesimo secolo in coincidenza con la diffusione dell’alluminio, per poi arrivare successivamente al nichel e al cromo usati come strati metallici antiruggine.

I cucchiai non si diffusero sulle tavole marocchine fino al periodo del colonialismo, e in particolare sotto i francesi, i quali portarono con sé le loro forchette, i loro cucchiai e i loro usi nel cibo. Siccome per secoli la mano restò tra i marocchini l’unico strumento per mangiare quando, dopo il mestolo di legno, fece la sua comparsa il cucchiaio, questo fu utilizzato principalmente solo per le pietanze liquide: al-haswah, la minestra di farina; al-harirah, la minestra di cotonastro; al-subba, la minestra di verdure. Solo più tardi il cucchiaio venne impiegato per i piatti di cuscus e si venne a creare un rapporto nuovo sulla tavola marocchina che sembra durerà per sempre.

E anche il cuscus

Come i cucchiai anche il cuscus in Marocco ha una storia particolare di cui la nonna si rallegrerebbe certamente. Una storia che ci riporta indietro almeno duecento anni prima di Cristo, tempo in cui i paesi del nord Africa si contendono quale tra loro sia il paese originario del cuscus: Marocco, Algeria, Tunisia, o Libia? La risposta giusta è invece il Regno Amazigh della Numidia.

Come afferma la storica Lucie Bolens, specialista in storia della cucina, il cuscus risale all’epoca del regno amazigh di Massinissa, uno tra i più famosi governanti del regno della Numidia prima di Cristo. L’argomentazione della storica è che proprio a quel periodo risalgono i ritrovamenti di cuscus nelle tombe del regno di Massinissa.

Il cuscus non arrivò sulle tavole europee prima della fine del medioevo. Il primo arabo che ne fece menzione fu Abu Bakr Ibn Durayd, nato a Basra [Iraq, n.d.t.] nella prima metà del nono secolo, nella cui opera La Raccolta del Linguaggio comparve il primo riferimento al cuscus molti secoli prima che ne parlassero Hassan Al Wazzan [Giovanni de’ Medici, n.d.t.], viaggiatore del sedicesimo secolo famoso con il soprannome di Leone l’Africano e lo storico francese Charles-André Julien nel libro Storia dell’Africa del Nord.

In onore a mia nonna

In Marocco il nome di cuscus si usa solo per indicare il pasto preparato con la farina di frumento, mentre quando è preparato con la farina di mais si chiama baddaz e con la farina di orzo belbula o tcicia. Le verdure si mettono nella salsa sul vassoio, il cuscus si mette sopra il vassoio e viene chiuso da una striscia di panno chiamato qaffal. Preparare il cuscus è un’attività poetica e la sua poesia proviene dalla cottura a vapore. La maggior parte dei marocchini è passata dal mangiare il cuscus con le mani al mangiarlo con il cucchiaio e dal vassoio nella stufa a legna con tre pietre si è passati al forno a gas. Nei ristoranti, e persino in alcune famiglie moderne, le persone non si dispongono più attorno a un unico vassoio, ma ognuno ha il proprio piccolo piatto, venendo a mancare così lo spirito sociale del cuscus.

Il cuscus gode di una fortuna particolare in Marocco: in primo luogo è legato al giorno del venerdì, quando viene servito come pasto principale all’interno della maggior parte delle case, direttamente dopo il ritorno dalla preghiera del venerdì; poi è la pietanza dei funerali, soprattutto nei piccoli paesi; infine nella ventisettesima notte del mese di Ramadan, la notte chiamata da tutti i marocchini la notte del destino, si portano vassoi di cuscus per la cena di chi prega alla moschea.

Forse è per conservare la sacralità del cuscus che mia nonna preferiva allungare sul vassoio le sue mani disarmate, senza bisogno di nessun mezzo metallico. E io, per onorare mia nonna da quando è morta ho posato il cucchiaio sulla tavola e vado verso il cuscus come ci andava lei.

https://www.khatt30.com/post/handspone

Da L’Almanacco de La Terra Trema. Vini, cibi, cultura materiale n. 21
16 pagine | 24x34cm | Carta Nautilus Classic gr 100 | 2 colori


Leggi e sostieni L’Almanacco de La Terra Trema.
Le modalità di adesione sono elencate QUI.

Last modified: 24 Dic 2021

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.