Barolo girl. Nadia Curto

Testo e fotografie di Laura M. Alemagna

In viaggio nelle Langhe piemontesi, percorriamo la storia di Nadia Curto e della sua azienda agricola, tra filari di arborina, la cantina e il mito…

 

Ci siamo messi in testa questa cosa della rivista. Tra le mille e una anime de La Terra Trema abbiamo voluto fosse Nadia Curto ad aprire per prima la porta a una serie d’incontri e con lei il Piemonte, provincia di Cuneo, La Morra, frazione Annunziata. Tra i cuori pulsanti di Barolo nella geografia di territorio.
Partiamo da Abbiategrasso. Nella notte ha piovuto fitto, la mattina è ancora uggiosa. Asti est, Alba e poi Barolo-La Morra. Subito nella storia della viticoltura mondiale.
Dall’indicazione Frazione Annunziata in poi è un susseguirsi di cantine, architetture improbabili, storie milionarie, cognomi ormai nel mito, conosciuti ovunque e ancora nelle simpatie della critica enologica mondiale. Aziende stellate, storie che abbiamo incontrato sovente negli scritti di Luigi Veronelli e Mario Soldati.

“AZIENDA AGRICOLA CURTO” BORGATA CIOTTO
Nadia è qui. Il caseggiato è sobrio, senza eccessi, ovunque piante e fiori. Un posto bellissimo a ridosso di un vigneto rossissimo. Ci affacciamo dal portone della cantina. Arriva dal fondo la voce di Nadia.
Ha smesso di piovere e il cielo si è aperto. La vigna è a due metri da casa e cantina. Partiamo per questo viaggio nelle Langhe, è ottobre, la vendemmia si è conclusa bene un mese fa.
La pioggia ha ammorbidito il terreno argilloso, marnoso. Ci tuffiamo.
Forte la curiosità e la voglia di attraversare queste geometrie perfette di viti e terra.
Ci troviamo all’Arborina, cru Arborina, vitigno Nebbiolo. L’età media delle piante è di quarant’anni, ma ci sono piante che ne hanno anche settanta e le riconosci subito, monumentali.
Durante la guerra i nonni di Nadia abitavano qui con poco e niente, tempi duri, zona di rappresaglie nazifasciste, di partigiani e di resistenza. Appena dopo la guerra andarono avanti di un’agricoltura di sussistenza: un paio di mucche, pecore, mele, pesche, nocciole e uva. Solo una parte delle uve veniva vinificata, quasi tutta per uso casalingo. Più tardi il papà di Nadia comprò terra nuova, impiantò nuovi vigneti sviluppando il discorso sul vino. Negli anni Ottanta e Novanta la maggior parte del vino vinificato in azienda veniva venduto agli imbottigliatori, solo una piccola parte veniva imbottigliato e venduto in cantina (ancora oggi chi vende più Barolo DOCG nel mondo sono le aziende che “raccolgono” uve e vino da centinaia di contadini e vendono le bottiglie con la propria etichetta, non i vignaioli che seguono la vigna, la cantina, l’imbottigliamento, l’etichettatura, la commercializzazione).
Nadia è cresciuta tra campagna e cantina, ma anche sui libri. Dopo il liceo classico e una laurea in economia e commercio lavora in altre aziende vitivinicole del territorio. Nel tempo però si fa forte la voglia di rimettere il naso nell’azienda di famiglia. Allora decide di lasciare il lavoro e di fare la vignaiola insieme ai suoi.

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(… ) La pioggia ha ammorbidito il terreno argilloso, marnoso. Ci tuffiamo.

 

Il 2007 è l’anno della svolta. Accompagnata e supportata dallo zio materno, Elio Altare, un vignaiolo che è mitologia pura nelle langhe e del Barolo.
Elio Altare è uno che ha osato. Negli anni Settanta va in Borgogna per incontrare i vignaioli, senza soldi per l’albergo dorme sul suo camioncino. Va in Francia per vedere da vicino quei vignaioli con due ettari di vigna, per capire com’è che i francesi facciano vini con quella qualità.
A tornare indietro, nel 1936, quando si decisero le mappe del Barolo, non è che fossero tanti ad aspirare di entrare in quella carta. Negli anni Settanta il barolo aveva una sua tipicità, aveva avuto anche dei momenti di gloria, ma non così tanto riconosciuto nel mondo. Oggi si farebbero carte false per entrare in quei confini con vigne e vini. Nella sola frazione Annunziata abitata da circa trecento persone, ci sono ventotto cantine, ognuna con la propria etichetta.
Elio Altare in Borgogna ha visto barrique, macerazioni brevi, rimontaggi frequenti in fermentazione, riduzione delle rese nei vigneti, ha visto dar spinta alla qualità e non alla quantità, ha visto ridurre drasticamente la produzione per ceppo e per ettaro.

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(…) Ci troviamo all’Arborina, cru Arborina, vitigno Nebbiolo. L’età media delle piante è di quarant’anni, ma ci sono piante che ne hanno anche settanta e le riconosci subito, monumentali.

 

IL MITO SI ALIMENTA DI SIMBOLI
Altare torna a casa, entra nella cantina del padre e col motosega fa a pezzi le vecchie botti (ma è veritiero che fosse l’unico modo per farle uscire di cantina), le sostituisce con barrique, sviluppa e adatta sul suo territorio quello che ha visto in Francia, ottenendo un vino diverso da quello fatto fino ad allora da quelle parti. Così inizia una nuova era per il Barolo, per il territorio e per i tanti vignaioli. Seguiranno a ruota anche le imitazioni cattive, malsane, le degenerazioni produttive e commerciali (l’uso improprio della barrique in botti nuovissime, di dubbia provenienza, i vini snaturati, tostatissimi, legnatissimi che stravolgono la metodologia produttiva).
Questo è Elio, lo zio che segue gli esordi di Nadia. Nei primi anni lei si dividerà tra il lavoro nell’azienda dello zio e quello nella propria, per costruirsi pian piano la sua strada.
Ci racconta di questa storia tra i filari di Freisa, forse il punto più alto dei suoi terreni. In fondo, a poche centinaia di metri, si vedono casa e terreni di Elio.
Oggi Nadia conduce questa azienda in modo semplice e serio. Tenendo presente l’incredibile territorio in cui si trova ma anche con curiosità e attenzione alle innovazioni. Ad accompagnarla ci sono la madre Adele e il padre Marco, sempre presente in campagna e in cantina.
In campagna non usano diserbante, tra i filari adoperano una fresa e tra le piante le infestanti vengono tolte a mano e con decespugliatore. Letame per concimare, trattamenti limitati, zolfo e rame come base, trappole ai feromoni per gli insetti. Per far partire la fermentazione non usano lieviti selezionati esterni e l’uso della solforosa è molto contenuto. I vini non sono né filtrati né chiarificati.
Nadia ci porta in cantina. Vinifica in modo tradizionale con fermentazione in acciaio e affinamento nelle botti grandi tradizionali, ma anche in versione “Elio Altare” per il Barolo Arborina, per il Dolcetto e la Barbera. Usa un fermentino, o rotomaceratore, un congegno che lo zio ha messo a punto studiando una macchina per il cioccolato. Quando l’ha vista ha contattato l’azienda che la produceva, ha chiesto delle modifiche ed ecco: un cambiamento emblematico dei metodi di produzione. Un cilindro orizzontale con una pala che ruota lentamente. Si mette il mosto all’interno e non ci sono più cappelli e rimontaggi. Con questo mezzo da subito, nelle prime ore, si estraggono colore (anche se il nebbiolo è scarso di colore) prima che si avvii l’alcool; si estraggono sostanze più morbide, legate alla frutta, e tannini meno amari. La fermentazione con questa macchina è più breve, si svina dopo 3-6 giorni a differenza dei 15-20 giorni del metodo tradizionale o dai tre mesi (fino a Natale) di Mascarello.
Innovazione eretica? Fuor di logica enologica? Solo un diverso modo di produzione? Non sappiamo, non sta a noi dirlo. Ci sono dei metodi diversi di produzione che portano ad avere dei vini diversi nello stesso territorio e terroir, anche con le stesse uve, anche nelle stesse aziende.
A darci risposta forse, sarà il naso elettronico o i vari congegni di cui si è parlato a Expo2015. “Addestrati” a scovare l’isotopo dello stronzio e altre molecole per spiegarci le qualità organolettiche del vino o la sua esatta provenienza territoriale.

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(…) Ad accompagnarla ci sono la madre Adele e il padre Marco, sempre presente in campagna e in cantina. In campagna non usano diserbante, tra i filari adoperano una fresa e tra le piante le infestanti vengono tolte a mano e con decespugliatore.

 

“LA CONDISCO O ASPETTO?”
Mamma Adele chiama mentre siamo in campagna preoccupata per la carne cruda: Il giro in vigna e in cantina termina. Le chiacchiere continuano con le gambe sotto il tavolo. Salame nostrano, bruschette, giardiniera casalinga preparata in estate, carne cruda, agnolotti al sugo, formaggi freschi e stagionati con Cugnà (una confettura sublime a base di mosto, frutta e nocciole preparata da Adele) e per finire pesche cotte con amaretti. I vini di Nadia Curto accompagnano tutto: la Freisa 2013, non convenzionale, secca e selvatica, tannino leggero. Il Barbera 2014, appena imbottigliato, annata difficile, acidità spinta, profumato, ancora da affinare. Il Dolcetto 2013 piacevole, qualcuno bissa. Il Dolcetto 2014, fragola, meno strutturato. Poi i Baroli 2006, 2008, 2009, 2011 (“base” e “Arborina”). Baroli appunto. Tutti diversi, a seconda dell’annata, del vigneto e del metodo di vinificazione, delle giuste intuizioni e degli errori umani. Qualcuno preferisce il 2006, qualcuno l’Arborina 2011: rotondi, eleganti, fruttati (bacche rosse) e spezie, vini articolati e semplici allo stesso tempo. Il 2008 è fuori dalle righe, maturo, ma con un suo equilibrio, esagerato nella rotondità e gradazione alcolica. E anche qua c’è chi bissa. Il 2009 tradizionale e particolare terra, spezie, tannini più amari. Per finire un Barolo chinato con una ricetta di Nadia, arancia e china.

Era il 2011. Parte un invito a Nadia per la quinta edizione. Nadia legge la mail: “Và che bello: Leoncavallo! Nel mio immaginario era un pustasun, ma c’era un collegamento a Veronelli e allora ho chiamato la mia amica e le ho detto: cosa facciamo, andiamo? Pensavo comunque di trovarmi in un posto malandato, ma quando arrivo e apro la macchina mi trovo ragazzi che mi scaricano il vino, il magazzino, la bolla di consegna, la bolla di entrata, la bolla di uscita… ‘Sta cosa mi ha spiazzato. Per la prima volta ho trovato una coesione tra piccoli vignaioli. Noi facevamo il vino in un determinato modo e con una certa idea, io non avevo mai incontrato altri vignaioli così tanto simili a me con cui confrontarmi, imparare, scambiare informazioni. Ho incontrato addetti ai lavori, amici che mi hanno fatto crescere professionalmente, che mi son venuti a trovare a casa, ogni anno gli porto le “tume” (il formaggio).”
Prima di tornare a casa ci imponiamo di passare ad Alba, per una torta di nocciole; l’odore in strada è forte, oleoso, tostato, pregnissimo. Laboratorio di Resistenza Dolciaria: il nome della pasticceria stride in quel profumo insistente. Da lontano svetta l’industria alimentare Ferrero.

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(…) A tornare indietro, nel 1936, quando si decisero le mappe del Barolo, non è che fossero tanti ad aspirare di entrare in quella carta. Negli anni Settanta il barolo aveva una sua tipicità, aveva avuto anche dei momenti di gloria, ma non così tanto riconosciuto nel mondo. Oggi si farebbero carte false per entrare in quei confini con vigne e vini.

 

La Terra Trema | Ottobre 2015

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Last modified: 2 Mar 2023

One Response to " Barolo girl. Nadia Curto "

  1. Salvatore Santillo ha detto:

    Ho avuto modo di degustare il vostro Barolo nel 2014, buonissimo; ora, di leggere questa meravigliosa storia e la prossima Arborina sara’ ancora piu’ Buona.

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